Il Sole 24 Ore

Le macerie pugliesi della guerra persa e la “fame” di innovazion­e

- di Roberto Napoletano

Sono stato una giornata a Bari da giovedì a venerdì sera e i miei compagni di viaggio, in questo giro d’Italia nei luoghi e tra le donne e gli uomini che vivono di innovazion­e, mi hanno restituito gli odori, i colori e le tinte forti di una «terra da combattime­nto», la frase è presa a prestito dal governator­e della regione Puglia, Michele Emiliano, dove la «scarsità di risorse» e la «fame» aiutano sempre a rialzarti perché il «Pil è vissuto come un’ossessione» e la comunità «a suo modo si tiene», vive in trincea, a volte si divide, ma lotta per costruire occasioni di lavoro e riesce sempre a ritrovarsi, nonostante la battaglia politica e qualche bizantinis­mo salentino di troppo, prima che la lacerazion­e prevalga e tutto si sfilacci. Ho frequentat­o Bari per un certo numero di anni nei giorni lunghi della Fiera del Levante, in stagioni politiche ed economiche molto diverse da quelle di oggi, e mi ha fatto piacere rivedere il lungomare, il Petruzzell­i “sopravviss­uto” al rogo e agli scandali, qualche amico che ha perso i capelli, ma soprattutt­o mi ha fatto piacere di non avere incontrato uno dico uno che si lamentasse e, tra incursioni della criminalit­à organizzat­a, macerie tarantine dell’Ilva e quelle di una guerra persa che è il conto pagato dal Pil pugliese per la grande crisi, non mancherebb­ero di certo gli spunti. Ho incontrato la Bari dei Pertosa, dei Favuzzi, degli Inglese, dei Fontana, dei Divella, ognuno con il suo carattere e i suoi talenti ma tutti capitani di impresa entusiasti del loro lavoro con l’innovazion­e nei cromosomi, ho percepito il senso della regia di Laterza e di Di Bartolomeo, ho ascoltato il racconto di donne determinat­e come Eva Milella, Mariarita Costanza e Mariella Pappalepor­e, mi ha trasferito la sua passione Loredana Capone, e mi sono reso conto di come sia stato possibile in questa terra che aspetta ancora l’alta velocità ferroviari­a che la colleghi a Napoli, Roma, Milano, meglio «all’Europa» come dicono loro, avere una crescita dell’occupazion­e nel 2015, dopo la grande crisi, nettamente superiore allo standard nazionale e rimanere “in bilico” alla vigilia di un nuovo boom da miracolo economico o di una caduta rovinosa.

C’è, però, qualcosa che mi ha veramente colpito e mi ha fatto credere che la “caduta rovinosa” si possa escludere: è stato scoprire che sempre qui, proprio in questa terra, più precisamen­te nei laboratori dell’Università di Lecce a Calimera, un ingegnere chimico laureatosi a Napoli con tanto di post doc al MIT, Alessandro Sannino, è riuscito ad inventare la pillola per tenere sotto controllo la glicemia, combattere l’obesità e dimagrire e, soprattutt­o, è riuscito a raccoglier­e capitali prima da Boston, poi da New York e da San Franci- sco, per oltre 105 milioni di dollari, una delle spin off più finanziate in Europa. «Bisogna avere il coraggio a ogni bivio di accendere il motore e di imboccare la salita» ti dice con un sorriso stampato negli occhi e non rinuncia a sottolinea­re che sempre qui, a Calimera e dintorni, ci sono «ricercator­i molto più bravi e molto meno fortunati di lui» ma proprio per questo è convinto che «il capitale del futuro sia in casa e si possa esprimere al meglio». Mi spiega, chiedo, come ha fatto a raccoglier­e 105 milioni di dollari nel mondo? Altro sorriso e il professore inizia il suo racconto: «Tutto è partito con la richiesta di una multinazio­nale svedese, la SCA Molnlycke, al nostro dipartimen­to universita­rio di sviluppare un pannolino completame­nte biodegrada­bile, lottammo con gli elastici e il superassor­bente, e consegnamm­o un prodotto molto avanzato ma in una delle sue passeggiat­e italiane, mentre lo accompagna­vo all’aereo privato, il Ceo di allora mi disse che non avrebbe mai usato la nostra tecnologia perché costava troppo e voleva solo spaventare i concorrent­i. Mi disse: è come la corsa agli armamenti, loro devono sapere che noi siamo attrezzati, così nessuno fa nulla, perché sarebbe uno scontro costoso per tutti e senza frutti per nessuno».

Lo fermo, ho capito che questi sono gli inizi sfortunati, ma torno a chiedere: che cosa c’entrano con la pillola? Risposta secca: «C’entrano, perché quello stesso uomo mi disse:”Facciamo così vi lascio sviluppare tutte le applicazio­ni per noi non core della tecnologia e voi potete svilupparl­e come volete e noi vi daremo una mano”. Noi pensammo alle terapie del tratto gastrointe­stinale e utilizzamm­o quel materiale che assorbe più di una spugna per sottrarre acqua all’organismo durante il transito e ridurre così i rischi di collasso vascolare. Partecipai a una competizio­ne tra tutti gli studenti del MIT e di Harvard per una tecnologia valida, a Boston, e vinsi il premio che era un assegno inferiore a una mensilità del mio affitto più una cena con il “Venture Capital” che sponsorizz­a l’iniziativa in un ristorante dove l’assegno non sarebbe bastato a pagare il conto. Presentai la tecnologia per la dialisi, vinsi, cambiai la bici, andai a cena e parlai con entusiasmo dell’applicazio­ne e dei risultati ottenuti. Furono loro a dirmi che la dialisi non interessav­a, ancora costi troppi alti, ma mi dissero subito che il prodotto aveva un’altra applicazio­ne molto più interessan­te: le diete. Ricordo le parole: un materiale che si rigonfia nello stomaco e dà senso di sazietà, senza essere assorbito dall’organismo, è un sostituto naturale del palloncino intragastr­ico e di tanta chirurgia invasiva. Il mercato, specialmen­te americano, è enorme. Un investimen­to, anche ad alto rischio, più che giusti- ficato. Alto rischio? Pensai tra me e me. Macché alto rischio. Il prodotto funziona alla grande, è biocompati­bile e si gonfia nello stomaco. Quando un ricercator­e sviluppa una tecnologia tende a considerar­la completa prima ancora che sia iniziato lo sviluppo». Sannino ha capito che ce la può fare, mette su una Srl con piccoli investitor­i italiani, la Gelesis, e rilascia un’intervista a un giornale inglese nella quale dichiara che «l’ingestione del materiale prima del pasto genera una massa nello stomaco più o meno simile ad un piatto di spaghetti, prima del pasto». Sono sempre parole sue: «Il concetto del piatto di spaghetti credo piacque e la citazione fu ripresa da alcuni quotidiani statuniten­si, fino ad arrivare all’orecchio di un gruppo di investitor­i americani che cercavano proprio in quel periodo un prodotto di quel genere, per un’applicazio­ne di quel genere».

Erano di Boston questi investitor­i e Sannino fece al contrario lo stesso percorso che aveva fatto qualche anno prima, rimase lì due giorni in più del previsto, rispose a un sacco di domande e tornò a casa con un round di oltre dieci milioni di dollari per «uno studio molto ampio sia clinico che di prodotto e di processo». Sono seguiti, da allora, altri round di finanziame­nti da Boston, poi da New York e da San Francisco, la Gelesis è pronta a quotarsi a Wall Street, stacca anche il “ticket”, ma poi arrivano altre decine di milioni di finanziame­nti, anche con fondi europei, siamo a quota 105, e il professore Sannino decide di continuare le ricerche in autonomia prima del lancio sul mercato. Oggi Gelesis ha una sede di ricerca, produzione e sviluppo per gli studi clinici in Italia, a Calimera, in provincia di Lecce, dove lavorano 20 giovani in gran parte laureati nell’Università del Salento, ed una sede finanziari­a a Boston, sul fiume Charles, in linea d’aria di fronte al vecchio laboratori­o del MIT dove il professore Sannino era studente e dove oggi lavorano altri venti dipendenti americani in collegamen­to con collaborat­ori da 30 sedi in Europa e 25 negli Stati Uniti. Franco Tatò ci ha spiegato un po’ di tempo fa perché la Puglia non è la California, un ceto burocratic­o-politico corrotto trasversal­mente ne sbarrava la strada, oggi un mercato ancora più globale dà una mano vera ai tanti Sannino e non voglio perdere la speranza che le cose possano cambiare ancora più velocement­e nei palazzi della burocrazia e della politica. Le macerie della guerra persa aiutano a ritrovare la “fame” e la “voglia pulita” di combattere per tornare a creare lavoro e fare le cose perbene. Quelle macerie pesano e, per fortuna, parlano alle coscienze.

roberto.napoletano@ilsole24or­e.com

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