Coniglietta clintoniana
Proiezione del nuovo cartone della Disney, Zootropolis, in un multiplex di Roma. Oltre 20 minuti di trailer: una decina di film d’animazione e per bambini in uscita nelle prossime settimane, spesso molto simili. Coraggiosi galletti messicani, koala alla ricerca del padre, stalagmiti viventi a Frasassi, Robinson Crusoe attorniato di animali parlanti, Angry Birds etc. C’è addirittura il trailer del film che stiamo per vedere. (Perché, mi chiedo? Siamo già dentro, abbiamo pagato il biglietto). Ora: fino a dieci quindici anni fa c’erano, quando andava bene, due o tre titoli d’animazione nuovi l’anno, e i film per bambini erano una fetta di mercato limitata. Adesso ne escono ogni settimana. Come mai? Intanto, ovviamente l’animazione al computer ha ristretto enormemente costi e tempi di realizzazione (e i risultati spesso si vedono, purtroppo). Ma soprattutto il cinema sta diventando uno spettacolo dove si portano i bambini, magari per staccarli un attimo dal tablet. Quando Zootropolis è diverso dagli altri cartoni in giro. Siamo in una metropoli in cui le varie razze animali, mettendo da parte le diffidenze, vivono in apparente armonia, in uguaglianza di fronte alla legge (vedi la recensione di Luigi Paini in Close Up). Una giovane coniglietta, prima poliziotta della sua specie nella storia, si trova a indagare su alcune misteriose sparizioni di mammiferi, e poi di predatori che ritornano feroci. Dietro tutto questo (scusate lo spoiler, purtroppo necessario) c’è il risentimento di una preda, che suscitava la violenza nei predatori per fomentare l’odio contro di loro e guidare il trionfo dei propri simili. Va in scena, insomma, un grande rimosso dell’antropomorfismo di molti cartoni: la ferocia. L’esito ricorda quasi Stati di allucinazione di Ken Russell, citato esplicitamente, e il classico L’isola del dottor Moreau di H. G. Wells. E soprattutto, Zootropolis è una lezione di filosofia politica sullo stato di natura, il contratto sociale e il rapporto tra maggioranze e minoranze. La coniglietta protagonista si chiama Hopps, che è lo “hop” del salto del coniglio, ma si pronuncia quasi come il filosofo Hobbes, giustappunto quello dell’homo homini lupus. Viene in mente la battuta di Woody Allen: «Il leone e il vitello giaceranno insieme, ma il vitello dormirà ben poco». In realtà l’apologo non riguarda solo la convivenza multietnica, ma soprattutto le disuguaglianze di genere. La coniglietta si farà valere contro mille pregiudizi. Ma ancor più curiosa è la morale finale, che mi sembra una specie di apologo “centrista”, da liberal moderati, contro gli “opposti estremismi”: contro la discriminazione, il razzismo, di genere e di etnia, ma anche contro chi incita al conflitto di classe (Berlusconi avrebbe detto: all’odio) e aizza contro i predatori che, dice capziosamente l’agitatrice perfida del film, sono pur sempre il 10% della popolazione mondiale (come l’1% della popolazione mondiale che detiene i
l 50% delle ricchezze, no?). Semplificando potremmo dire: Zootropolis è un film obamiano, anzi oggi hillary clintoniano (nel senso di Hillary, fresca vincitrice del Super Tuesday in sette Stati), contro Trump, ma anche contro Bernie Sanders. E viene in mente che forse anche la morale di Inside Out era un inno al limite, alla compenetrazione degli opposti, all’armonia dell’anima e del corpo individuale (e sociale?). Insomma: siamo nella grande tradizione del cinema americano mainstream, capace di toccare indirettamente i punti decisivi di un’epoca e «i sogni a occhi aperti della società». Zootropolis è un gran film, scatenato, con momenti esilaranti: la descrizione degli uffici pubblici (dietro lo sportello ci sono, ovviamente, dei bradipi: occasione per rallentare virtuosisticamente il ritmo per poi ripartire), una parodia del Padrino con delle minuscole talpe, una volpe truffaldina vestita come quelle di Wes Anderson. La coniglietta si integra nell’ordine costituito e lo rende più gentile. L’agnellina sovversiva, anche lei preda e femmina, va in galera. Ripensandoci, certi altri film Pixar, come Monsters & Co., Wall-E o Up erano stati politicamente più coraggiosi, senza enunciare la morale ma evocando nostalgie, paure, speranze più profonde e strazianti.