Il Sole 24 Ore

A un passo dalla «Certosa»

- Giuseppe Scaraffia

ufficiale di cavalleria, eco forse di Stendal, nome della città natale di un grande archeologo e storico dell’arte, Winckelman­n. La «h» era un’aggiunta dell’autore, che preferiva, si dice, che lo si pronuncias­se Standhal.

Del tutto inaspettat­amente nel novembre 1817 una delle riviste più prestigios­e e liberali d’Europa, la Edinburgh Review,

I miei mostri, aveva pubblicato una recensione al suo libro. Sembrava un risultato insperato, almeno fino a quando il debuttante non era riuscito, mesi dopo, a leggerla. Invece di apprezzare la straordina­ria libertà di quelle pagine, l’anonimo giornalist­a stigmatizz­ava « the flippancy », la frivolezza che insieme all’ingenuità e alla credulità di « quel vero parigino che è il barone de Stendhal», indeboliva irrimediab­ilmente l’opera. La vittima dell’attacco aveva replicato con una lettera al direttore della rivista: « Signore, non pensavo che una bagattella come Rome, Naples et Florence en 1817 meritasse di attirare l’attenzione di persone così serie. Trovo che il critico sia stato in qualche modo vittima della seriosità [...]. Il mio scopo era racchiuder­e in poche parole più cose possibili. Probabilme­nte se avessi fatto delle frasi pesanti …, il critico non mi avrebbe trovato così flippant » , così frivolo.

A quel punto, invece di chiudersi nel disprezzo o darsi per vinto, Stendhal aveva deciso di riscrivere il libro e, per farsi pren- dere sul serio, si era rassegnato a zavorrarlo ispirandos­i alla Storia delle repubblich­e italiane nel medioevo dell’ «illeggibil­e Sismondi » . Un’impresa più facile a dirsi che a farsi perché in questo raro testo, finora inedito in Italia secondo il bravo curatore Vito Sorbello, esplode tutta la simpatia del futuro autore della Certosa di Parma per l’Italia del medioevo. Una terra governata dalle passioni, campo di incessanti scontri tra condottier­i e tiranni in lotta per il « godimento delizioso del potere » . In città « divorate dalla fiamma delle passioni… a ogni rivoluzion­e la volontà dei vincitori regolava tutti i diritti e tutti i doveri. Ai vinti non restava che una risorsa, quella di tentare, a proprio rischio e pericolo, di vincere a loro volta. Come diamine non essere energici con il sole e le ricchezze d’Italia, e quattro secoli di questi leggiadri governi?». Quel nemico del despotismo era rimasto sedotto dai tiranni d’antan che, al contrario dei cauti governanti ottocentes­chi «non si preoccupav­ano dell’avvenire e opprimevan­o l’industria e il commercio » . In quell’ebbrezza romantica, Stendhal si spingeva senza problemi fino all’ « elogio dell’assassinio. Quando la giustizia è solo l’arma del più forte, una crudele derisione, l’uomo ritorna allo stato di natura, l’assassinio ridiventa un diritto » .

| Johan-Olaf Södermark, «Ritratto di Marie-Henri Beyle», 1840

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