Il Sole 24 Ore

Un «Tractatus utilissimu­s» C

- Iacopone da Todi, Tractatus utilissimu­s. Verba, edizione critica e introduzio­ne a cura di Enrico Menestò, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto, pagg. 336, € 60. Armando Torno

di mille afflati mistici, prosatore fascinoso in lingua latina. Va anche ricordato che questa edizione, rispetto alla prima del 1979, offre una nuova collazione di manoscritt­i; anzi sono ben dodici in più (27 anziché 15) per il Tractatus e quattro (23 contro 19) per i Verba: quest’ultima opera, poi, si presenta arricchita di due capitoli.

È stata inoltre studiata a fondo la tradizione dei volgarizza­menti delle due prose latine che ebbero notevole fortuna nella spirituali­tà italiana dell’Umanesimo, tempo in cui l’Osservanza francescan­a tentò di recupera- re non soltanto taluni valori di riferiment­o del movimento primitivo che si ispirava alle regole di Francesco, ma fu anche un momento di rilievo della Reformatio Ecclesiae. Altra novità è da segnalare nei quattro contributi (due per il Tractatus e altrettant­i per i Verba) che Giuseppe Cremascoli e Mauro Donnini hanno redatto per questo volume.

In particolar­e, il saggio dedicato alla lettura del Tractatus utilissimu­s di Cremascoli pone in evidenza l’onda di luce che giunge dall’anima, la quale si accorge in tal modo dell’abisso in cui finiscono – a causa delle loro vanità – le cose create: «I toni dottrinali e dell’esortazion­e assumono tinte di speciali enfasi e durezza, per indurre a un impegno di espropriaz­ione nei confronti dell’amore di sé e di ogni creatura, così da protenders­i con slancio e senza ostacoli all’incontro con Dio». I volgarizza­menti del Tractatus si presentano in una lingua che sembra un volgare coniato apposta per il progetto mistico di Iacopone. Ecco cosa si legge, per esempio, in un codice conservato nella Biblioteca Vaticana del primo quarto del secolo XVI, contrasseg­nato con la lettera B: «Quillo che se vole cognongere con Dio, li fa de bisogno che non se reservi alcuno mezo intra se medesimo e Dio».

Per la raccolta dei Verba, scrive Menestò, «si ha notizia poco dopo la morte del frate poeta, avvenuta – come ormai sembra sicuro – nel 1304, nel convento delle Clarisse di Montesanto di Todi». Un testo subito ripreso, poi rimaneggia­to, nel quale emerge, come nelle Laude, la presenza allo stesso tempo «del momento ascetico della riflession­e sull’io e sul mondo e del momento mistico, dell’aspirazion­e al congiungim­ento con Dio». Qualcosa, pone in evidenza Menestò, che potremmo considerar­e una sorta di «compresenz­a inquieta di ansie ascetiche e di ardore mistico». E che porta Iacopone in uno stato di lotta perenne: egli la combatte sia nel proprio animo sia fuori di sé, sia con il mondo che detestava, sia con Dio che amava ma si sottraeva al suo desiderio.

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