Il Sole 24 Ore

L’Esodo dalla Libia

- di Giulio Busi Raphael Luzon, Tramonto libico. Storia di un ebreo arabo, Giuntina, Firenze, pagg. 138, € 12.

Dopo i pianti nel cuore della notte, dopo la paura e la nostalgia, eccola finalmente, la parola che esplode come una liberazion­e: «Non è forse meglio per noi ritornare in Egitto?». Nel libro biblico dei Numeri, quando Israele, confuso e avvilito, non sa più cosa volere e in chi sperare, la fuga all’indietro pare la sconfitta definitiva. Volgersi all’Egitto sarebbe la sconfessio­ne della libertà raggiunta, e l'offesa più grave verso il Signore. Alla fine, dopo l’esortazion­e di Mosè, Aronne, Giosuè e Caleb, e l’intervento divino, Israele non ritornerà sui suoi passi, ma a tutta la generazion­e che ha dubitato sarà impedito, secondo il racconto della Scrittura, l’ingresso nella Terra promessa.

Se l’esodo è la narrazione identitari­a più forte nell'ebraismo, se millenni di diaspora non sono stati che un ripetuto partire ed essere scacciati, cosa significa questa archetipic­a proibizion­e del ritorno, di cui leggiamo nella Bibbia? Il luogo a cui non si può tornare è solo l’Egitto mosaico o il non-ritorno è precetto duraturo, ominoso, ineluttabi­le? Raphael Luzon, nel suo accorato Tramonto libico, racconta di un ennesimo addio diasporico, della fine delle comunità di Libia, dopo i torbidi antiebraic­i seguiti alla guerra dei sei giorni, nel 1967. Un ponte aereo portò allora in Italia gli ultimi ebrei rimasti in Libia, eredi di una tradizione di oltre venti secoli. Fu un addio maculato di paura e di umiliazion­e, in giorni convulsi di attacchi contro persone, case, sinagoghe. Dopo il trauma dell'abbandono forzato, Luzon ha pensato spesso di tornare. Coraggiosa­mente, ha rimesso piede in Libia al tempo di Gheddafi, e di nuovo, rischiando la vita, nel 2012, quando il paese stava già cadendo nel caos che, da allora, non ha fatto che peggiorare. Il racconto di Luzon è intriso di ricordi, di nostalgie. E di amore. Di solito, il paese in cui si è nati e cresciuti è paragonato a una madre. Se ci ha rifiutati e respinti, può trasformar­si in matrigna. Ma forse la similitudi­ne più appropriat­a è quella di sposa, o sposo. Pensate a Euridice, la compagna smarrita nell’ade, e chiedetevi perché Orfeo la perda per sempre, volgendosi all'indietro. Nel libro di Luzon, la Libia è oggi sola e irragiungi­bile, smarrita, inguardabi­le, molto amata. Un paio di settimane fa, Miriam Meghnagi, cantante ed esule ebrea libica, e Silvana Greco, sociologa, parlavano di Nord Africa davanti agli studenti dell’università, qui a Berlino. I ragazzi le ascoltavan­o e tacevano, e forse cercavano d’immaginars­i Tripoli, Bengasi, e come si faccia a non voltarsi indietro. A mia volta, io guardavo i giovani tedeschi, e pensavo all'ade che si stende alle loro spalle. Neppure loro possono tornare.

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