La vocazione a dire «no»
Di Germaine Tillion colpiscono immediatamente lo sguardo fiero e intelligente, e il sorriso sereno e dolce, che forse soltanto coloro che hanno «attraversato il male» possono permettersi. Nel suo caso, lei non solo ha vissuto, ma ha studiato, raccontato, denunciato e rappresentato con un ruolo decisivo i due avvenimenti chiave più drammatici del Novecento: i campi di concentramento e la decolonizzazione.
Germaine si interessa fin da ragazzina alle scienze umane; una vocazione appassionata, che sfocerà negli studi di etnografia al Collège de France sotto la guida dei maestri Marcel Mauss e Louis Massignon. Nel 1934 Mauss invia Germaine in Algeria, nella regione dell’Aurès, all’interno dell’etnia berbera «chaouia». Una missione da cui erediterà quella capacità di osservazione e di analisi che confluirà anni dopo nei suoi libri, ancora oggi tra i più acuti e attuali sulla condizione della donna e sulle società in quelle aree geografiche. Rientrata in patria, si impegna attivamente tra le file della Resistenza civile: «resistenza per me significa dire di “no”, che è già un’affermazione». Nel 1942 viene arrestata e l’anno dopo deportata a Ravensbrück, il campo di concentramento a nord di Berlino per sole donne, prevalentemente detenute politiche. Lei viene immatricolata come “NN”: Nacht und Nebel, “Notte e nebbia”, sigla scelta da Hitler per designare i prigionieri dei lager «condannati a morte ma ancora in attesa di esecuzione». Altre detenute, soprannominate Kaninchen, “le conigliette”, erano destinate a «esperimenti speciali» che con il pretesto di testare una cura per i soldati feriti al fronte spesso portavano le «cavie» alla morte dopo atroci sofferenze (come racconta Sarah Helm nel suo importante studio su Ravensbrück, levianamente intitolato If This Is a Woman). Germaine, di fronte a quel- l’orrore, sente di dover attuare la sua, altissima, forma di resistenza intellettuale e spirituale: «comprendere quel meccanismo», anche perché intuisce che smascherandolo può «aiutare moralmente le migliori di noi». Fino alla fine della sua vita sarà dunque ossessionata dal pensiero, che la aiuterà a sopravvivere, della «verità» da salvare: viene liberata nell’aprile del 1945, e appena dopo la fine della guerra comincia a raccogliere le sue «testimonianze». Nel 1954 viene nuovamente inviata in Algeria, mentre il “Front de Libération Nationale” sta iniziando la sua campagna di indipendenza; Germaine Tillion mette a punto un ambizioso programma di riforme sociali, che la porterà a essere coinvolta, con una posizione coraggiosa in difesa delle vittime, nel conflitto franco-algerino. La sua lotta contro la tortura diventa «una missione fondamentale» (come racconta Jean Lacouture in La Traversée du mal). Nel 1961 sarà in Maghreb e in Medio Oriente per studiare la condizione delle donne per conto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Sostenuta dalla ferma convinzione che «dalla conoscenza nasce la compassione e dalla compassione la conoscenza», si impegnerà sempre «alla ricerca del vero e del giusto», per la conservazione della memoria dei crimini del nazismo e dello stalinismo, a favore dei diritti delle donne, nonché, in qualità di Direttore presso l’École Pratique des Hautes Études, per denunciare l’uso della tortura in Iraq e per suggerire di sostituire, alle «inefficaci operazioni militari» contro il terrorismo, il «dialogo universale», a suo avviso il solo mezzo davvero potente per «localizzare, arginare ed estirpare la sofferenza». Tillion è stata anche una grande lettrice; se a Ravensbrück ha fatto tesoro della lezione dell’amato Montaigne, che le ha insegnato a «prepararsi a morire», dopo aver conosciuto «la banalità del male» si è avvicinata anche a Spinoza... «non ridere, non lugere, neque detestari, sed intelligere». E (se), dato che, e oltre tutto, questa è una donna, e che donna, è giusto che le sue spoglie riposino ora al Panthéon di Parigi, accanto ai grandi di Francia. Non per commemorarla bensì per «rammemorarla», come ha fatto superbamente (in rete) Orsola Puecher, il cui nonno Giorgio Puecher, dopo la fucilazione del figlio ventenne Giancarlo, militare e partigiano decorato con la Medaglia d’oro al valor militare, sarà condotto nel campo di concentramento di Mauthausen, dove morirà il 17 aprile 1945. Di ciò che hanno fatto e vissuto bisogna continuare a parlare, «ancora e ancora». Senza ridere (quale uomo lo farebbe?), senza piangere (umano, troppo umano!), ma per comprendere: i loro «spiriti liberi», e dunque (speriamo) i nostri.
Jean Lacouture, Attraversare il male. Conversazione con Germaine Tillion, pref. di Goffredo Fofi, traduzione di Claudina Fumagalli, Medusa, Milano, pagg. 100, € 12