Il Sole 24 Ore

Cavalieri dell’Apocalisse

Franc Marc, pittore del gruppo «Der Blaue Reiter», era convinto che il conflitto fosse un’esperienza utile a rigenerare l’Europa

- Di Em i l io G e nt i le

Fu chiamato alle armi l’8 agosto 1914, pochi giorni dopo l’inizio della Grande Guerra. Il 26 settembre fu ucciso durante una battaglia: aveva ventisei anni quando cadde al fronte August Macke, artista fra i più dotati dell’espression­ismo tedesco. Di Macke l’amico Franz Marc, di sette anni più anziano, e già affermato pittore espression­ista, scriveva un ricordo che si concludeva con queste parole di rimpianto: «L’avida guerra ha una morte eroica in più, ma l’arte tedesca ha un eroe in meno»: «Terribile – osservava Marc – la casualità della morte individual­e, che stabilisce e manovra i nesorabilm­ente con ogni pallottola mortale il destino successivo dei popoli. In guerra siamo tutti uguali. Ma fra mille coraggiosi la pallottola ha colpito un uomo insostitui­bile. La sua morte ha privato la cultura di un popolo di una mano, di un occhio. Quanti terribili silenzi porterà questa crudele guerra alla cultura di domani. Quanti giovani anime che non conosciamo e che hanno in sé il nostro futuro, possono essere uccise».

Anche Franz Marc era in guerra, combatteva contro i francesi, lui che aveva i nonni materni francesi; era stato spesso a Parigi per ammirare la nuova arte francese; da Cézanne, Gauguin, Van Gogh, aveva avuto ispirazion­e per creare il suo stile.

Marc era partito volontario, come tanti altri artisti d’ogni Paese coinvolto nella Grande Guerra, convinto che la guerra fosse un’esperienza necessaria per rigenerare un’Europa potente, prospera e dominatric­e del mondo, ma spiritualm­ente corrotta dal culto dei beni materiali. Se qualcuno «conquista per la sua patria una nuova colonia, tutto il Paese lo accoglie con giubilo e inni. … Se invece qualcuno si propone di donare alla propria patria un nuovo bene esclusivam­ente spirituale, costui può star certo che nella maggior parte dei casi un tale dono verrà respinto con sdegno iracondo e guardato con sospetto. In tutti i modi si cercherà di toglierlo di mezzo; anzi, se appena fosse permesso, non si esiterebbe a condannare al rogo il donatore».

Così scriveva Marc nel 1912 nell’almanacco Il Cavaliere Azzurro, pubblicato a Monaco di Baviera in collaboraz­ione col pittore russo Wassily Kandisky, creatore dell’arte astratta. Entrambi propugnava­no una rivoluzion­e spirituale attraverso una nuova arte, ispirata da un senso religioso della vita come totalità cosmica, capace di avvertire «il ritmo organico di tutte le cose», «le vibrazioni e le stille di sangue della natura, gli alberi, gli animali», scriveva Marc nel 1910. Nelle sue opere, rappresent­ò soprattutt­o animali, dipingendo­li con forti colori espressivi della loro essenza piuttosto che della loro apparenza, sentendosi a essi unito in una simbiosi mistica.

Educato da una madre rigidament­e calvinista, Marc aveva pensato di diventare pastore, aveva studiato teologia, ma poi aveva scelto l’arte, concependo­la e vivendola come un’esperienza religiosa, che doveva irradiare un movimento di rinascita spirituale. «Le vecchie idee e le vecchie creazioni trascinano un’esistenza apparente, e la fatica d’Ercole di sbarazzarc­ene e di aprire la strada al Nuovo, che già attende, ci sconcerta», scriveva Marc nel 1912. «Eppure - aggiungeva - si avverte che una religione nuova sta emergendo nel Paese, una religione che non ha ancora nessun profeta e che nessuno riconosce», ma che già si manifestav­a nelle creazioni dei nuovi artisti dediti ad affermare «lo spirituale nell’arte», come lo definiva Kandisky. Di fronte alle opere dei nuovi artisti, affermava Marc, «si sentono nell’aria i Cavalieri dell’Apocalisse; si sente in tutta l’Europa una tensione artistica», «viviamo in un’epoca di immensi sconvolgim­enti, che riguardano tutte le cose e tutte le idee, ci sono uomini oggi che vedono i millenni danzare davanti a sé, come i primi cristiani. Le i dee ronzano nell’aria, come frecce nella mischia. Non abbiamo tempo per lucidare i bottoni della nostra uniforme».

L’evocazione metaforica dell’unifor- me divenne realtà due anni dopo, quando esplose la Grande Guerra. E Marc, come altri artisti di avanguardi­a, come i futuristi italiani, da lui ammirati, accolse il conflitto europeo come l’atteso evento dell’apocalisse rigeneratr­ice. Ma presto l’entusiasmo svanì in lui, come in altri artisti entusiasti volontari. L’amico pittore Paul Klee lo vide all’inizio del 1915, durante una licenza: «Lo trovai assai dimagrito. Non faceva che raccontare. Si vedeva che le continue fatiche e l’essere stato privato della sua libertà lo avevano depresso. Il maledetto portamento militare, l’inelegante divisa dei sottuffici­ali con la sciabola a port-epéee, ora ho veramente cominciato a odiarli … Se quest’uomo potesse dipingere di nuovo, gli riapparire­bbe sul volto il suo pacato, caratteris­tico sorriso, semplice e semplifica­nte. … Fare il soldato dovrebbe essergli più odioso, o meglio indifferen­te». Quando lo rivide alla fine dell’anno, in divisa da ufficiale, Klee fu turbato dall’atteggiame­nto di Marc: «Questa volta era di buon aspetto, come ufficiale ha potuto curarsi; aveva anche il portamento da ufficiale. La nuova divisa gli sta bene, stavo già per dire “purtroppo”. Non sono sicuro che egli rimanga sempre lo stesso».

Marc effettivam­ente mutò «nel purgatorio della guerra», come egli lo definì. Fu sconvolto dall’orrore della carneficin­a di massa, anche se alla moglie scriveva il 6 aprile 1915, che comunque «il bagno di sangue era meglio che una eterna menzogna». In un articolo scritto nel novembre 1914, i ntitolato «L’Europa segreta», Marc ribadiva che l’Europa «soffre di una malattia ereditaria e per guarire ha bisogno di un terribile scorriment­o di sangue. Noi che siamo al fronte capiamo a fondo che questi orribili mesi non sono solo, per dirla fisiologic­amente, uno spiegament­o di forze politiche ma rappresent­ano da un punto di vista spirituale, un vasto e universale sacrificio di sangue che ci condurrà tutti ad un’unica meta». Per Marc, la Grande guerra era in realtà «una guerra civile, combattuta contro il nemico interno, invisibile dello spirito europeo … demone e maledizion­e dell’Europa, contro la stupidità, la sordità e l’eterna ottusità per giungere ai suoni più chiari, alla luminosità del tipo europeo». Pur augurandos­i la vittoria della Germania, Marc immaginava un’Europa riappacifi­cata dopo il «purgatorio della guerra». Egli pensava che il soldato semplice non si lasciava convincere dalla propaganda politica a odiare il nemico: «Combatte l’avversario, ma non lo odia». L’amore per il germanesim­o, aggiungeva, «deve lasciare spazio oggi per il buon europeismo. Solo così l’Europa avrà il secolo che desidera. Non bisogna rialzare le frontiere, ma abbatterle».

Marc fu abbattuto da un proiettile nemico il 4 marzo 1916, alle 4 del pomeriggio, presso Verdun. La Grande Guerra aveva una vittima in più, l’Europa un buon europeo in meno.

 ??  ?? caos | «Sotto la pioggia» di Franz Marc, 1912. Il pittore fu ucciso a Verdun 100 anni fa, il 4 marzo 1916AFP
caos | «Sotto la pioggia» di Franz Marc, 1912. Il pittore fu ucciso a Verdun 100 anni fa, il 4 marzo 1916AFP

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy