Presidente del pragmatismo
Obama ha governato non volendo più fare il gendarme del mondo, ha varato la riforma della sanità e si è speso molto per i diritti civili
Sono diversi gli interrogativi che si possono sollevare su Barack Obama nel momento in cui sta per chiudere il suo mandato alla Casa Bianca: ha accelerato il declino degli Stati Uniti o ha rinnovato la politica del Paese più potente del mondo? Ha minato l’egemonia democratica di un’America pronta a risolvere le crisi del globo o ha salvato l’immagine di una nazione deturpata dalle imprese militari? Ha contribuito a risollevare o ad affossare l’economia dei paesi sviluppati? In breve, la sua presidenza ha avuto successo o ha fatto fallimento? Con il pamphlet Obama il grande sostengo che probabilmente il presidente sarà ricordato dagli storici come il leader che ha saputo imprimere agli Stati Uniti una svolta significativa sia in politica estera nella stagione dei grandi mutamenti internazionali, sia in politica interna dove ha dovuto fronteggiare l’inconsueta opposizione radicale dei repubblicani.
Il raffronto tra l’America che Obama ha trovato nel 2009 e l’eredità che oggi lascia al successore è eloquente. Allora la nazione era demoralizzata per la crisi economica e per il logoramento delle campagne militari in Afghanistan e Iraq che avevano suscitato un diffuso sentimento antiamericano. Oggi l’economia è parzialmente risanata anche se permangono forti disuguaglianze, la disoccupazione è scesa al cinque per cento, e l’immagine nazionale ha riguadagnato una parte del prestigio perduto. Dieci anni fa si polemizzava con gli interventi militari stelle e strisce, oggi se ne auspica la ripresa per combattere efficacemente il terrorismo.
La svolta geopolitica consiste nel fatto che, dopo la fine del mondo bipolare e del l’unipolarismo bushiano, Obama non ha più voluto fare dell’America il gendarme del mondo, consapevole che le nuove potenze regionali di Asia, Africa e America Latina sono in uscita dall’orbita ameri- cana. La trattativa sul nucleare con l’Iran, la riapertura delle relazioni con Cuba, l’ap peasement con la Russia sul terrorismo, e il rifiuto di “scendere con gli scarponi per terra” in Medio Oriente, segnalano la fine della pax americana imposta con la forza delle armi. È sì vero che a oggi non si può prevede rese lavi a diplomatico-trattativisti ca scelta da Obama al posto degli interventi muscolari garantisca la difesa delle libertà e della democrazia dell’Occidente, ma è certo che gli americani non avrebbero potuto ripetere contro gli islamisti una strategia militare analoga a quella del Vietnam e dell’Iraq.
Anche in politica internal’ Amministrazione ha tentato un nuovo corso affrontandole disuguaglianze sociali che restano tra le questioni irrisolte della nazione più ricca del mondo. Ha esteso con la riforma sanitaria l’assistenza a venti milioni di americani tramite il contributo federale alle assicurazioni per i non abbienti riportando un parziale successo laddove avevano fallito tutti i presidenti del dopoguerra. E ha varato una serie di provvedimenti sociali quali l’accesso dei giovani ai community college, gli assegni familiari per i figli dei poveri e le iniziative sugli Stati per l’aumento della paga minima e la retribuzione paritaria tra donne e uomini. Sul fronte dei diritti civili, poi, Washington si è adoperato per l’estensione del matrimonio gay a tutta la nazione, per la legittimazione dell’eutanasia adottata in California, e per contenere l’integralismo prorompente degli evangelici in alcune regione della profonda America.
Queste realizzazioni della presidenza Obama non cancellano, certo, le incertezze in politica estera né la mancanza di risultati in alcuni settori quali il controllo delle armi, la pena di morte e la violenza razzista delle polizie locali, materie tutte che, però, restano fuori dal controllo del governo federale. L’aggressivo populismo che sta emergendo sulla scena elettorale, a destra come a sinistra, testimonia come le iniziative di Obama per sanare la sperequazione tra ricchi e poveri abbiano colto i sentimenti profondi del ceto medio colpito dal generale impoverimento e animato dal risentimento contro l’establishment politico e finanziario. Obama, nella prospettiva del se- colo potrà essere considerato un grande precursore anche perché le condizioni in cui ha operato non sono state le migliori. Sarebbe infatti errato misurare il successo o il fallimento dell’attuale Amministrazione senza tenere presente che i poteri presidenziali, assai forti nel sistema politico-istituzionale degli Stati Uniti, sono bilanciati e limitati dai poteri altrettanto forti del Congresso. Soprattutto quando le assemblee legislative sono controllate da un’opposizione come l’attuale di destra che avversa il presidente nero perché ritenuto estraneo al mainstream americano.
La seconda parte del pamphlet contiene una Guida essenziale alle presidenziali 2016, utile per chiunque voglia seguire le complesse e affascinanti procedure con cui gli americani eleggono il loro presidente.
Questo testo presenta il libro di Massimo Teodori Obama il grande con una guida essenziale alle presidenziali 2016, Marsilio, Venezia, pagg.112, € 10, in libreria dal 10 marzo