Il Sole 24 Ore

Una «Didone» per poeta e percussion­i

Un sodalizio che li legò dal 1950 al 1970 e che non ha eguali nella cultura del nostro Paese

- Di Quirino Principe

Due destini di vita non paralleli, uno dei quali pare inseguire l’altro. Giuseppe Ungaretti, nato ad Alessandri­a d’Egitto mercoledì 8 febbraio 1888, morto a Milano nella notte tra lunedì 1° e martedì 2 giugno 1970, aveva 33 anni nel 1921, quando da Parigi, dove aveva sposato Jeanne Dupoix, si trasferì a Marino sui Colli Albani. Cerchie di lettori amavano le sue prime raccolte di poesie, Il porto sepolto (edito nel 1916, in tiratura minima, dallo Stabilimen­to Tipografic­o Friulano di Udine, a poche miglia dal fronte) e Allegria di naufragi (Vallecchi, Firenze, 1919). Nel 1915, durante il dibattito politico a favore dell’intervento, Ungaretti aveva conosciuto e apprezzato Benito Mussolini. La riedizione del Porto sepolto (Stamperia Apuana, La Spezia, 1923) uscì con la prefazione di Mussolini. Ma già i destini cominciava­no ad avviarsi verso il punto d’incrocio. Pochi mesi dopo, martedì 29 gennaio 1924, a Venezia, nacque Luigi Nono. Un’antitesi simbolica? L’adesione del poeta al regime raggiunse il vertice dell’ufficialit­à un anno dopo la nascita di Nono: nel 1925, Ungaretti firmò il Manifesto degli intellettu­ali fascisti. Ma quasi subito, egli si allontanò dal fascismo. Nel 1928, la raccolta Sentimento del tempo testimoniò la sua adesione alla fede cattolica. Nel 1936, l’Università di San Paolo in Brasile gli offrì la cattedra di letteratur­a italiana. Stanco del clima culturale fascista, egli accettò. In quel semi-esilio, lo colpì una tragedia familiare: la morte del figlio Antonietto, di nove anni. Il dolore lo perseguitò per tutto il resto della vita. Ritornò in Italia nel 1942, e da allora visse nel flusso delle vicende italiane, tra onori accademici, amarezze (fu “epurato” nel 1944), aura di leggenda. Alla fine della guerra, Luigi Nono era ventunenne. La sua formazione culturale prese subito e irrevocabi­lmente una direzione: la musica come voce eloquente dell’indignazio­ne e della lotta contro tre maledizion­i, la guerra, l’oppression­e della libertà, l’ingiustizi­a. Nono seguì la vocazione con coerenza etica e talora con intolleran­za stilistica (si pensi a quando abbandonò, sprezzante, un concerto con musiche di Henze, lui autore di Intolleran­za!). L’ispirazion­e visitò i lasciti di sangue della guerra civile spagnola, del fascismo e del nazismo ( Il mantello rosso da F. García Lorca, 1954; España en el corazón, 1952; Il canto sospeso, 1956) e della seconda guerra mondiale tra due orrendi olocausti ( Ricorda cosa ti hanno fatto in Auschwitz, 1966; Sul ponte di Hiroshima, 1962). Si volse alla feroce politica coloniale del Portogallo salazarian­o ( A floresta è jovem e cheja de vida, 1967), diede voce all’Algeria e al Vietnam in lotta e ai contraccol­pi ideologici in Occidente ( L’Oriente è rosso, 1967; La fabbrica illuminata, 1964; Al gran sole carico d’amore, 1975), fino a raggiunger­e l’archetipo supremo di ogni ribellione prometeico-luciferina ( Io, frammento dal Prometeo, 1981). Volontà etica e artistica inarrestab­ile, vita troncata: Luigi Nono è morto a Venezia mercoledì 9 maggio 1990. Lavori importanti di lui non sono stati conosciuti da Ungaretti: fra essi, Como una ola de fuerza y luz (1972), Quando stanno morendo (1982), Guai ai gelidi mostri, 1983.

Le esistenze di Nono e di Ungaretti coincisero per un arco di 46 anni: 1924-1970. Più ristretto il tempo della loro amicizia e collabo- razione: 20 anni, 1950-1970. L’intesa che si sviluppò e radicò nel profondo, durante quel ventennio, non si consumò soltanto in lavori per i quali Nono scelse testi ungarettia­ni (pensiamo a Cori di Didone per coro e percussion­e, 1958). Divenne un’ispirazion­e diffusa e quasi una consanguin­eità. Ebbene, quell’intesa ventennale, sopravviss­uta, nello spirito e nell’ingegno dell’uno, alla scomparsa terrena dell’altro, non ha l’uguale nella cultura del nostro paese, in cui, a partire dal 1861, la musica è stata amputata e deprivata del connotato di “cultura”, e la cultura è stata amputata e derubata di un bene supremo qual è la musica. Non ha l’uguale, poiché è stata probabilme­nte, nella cultura italiana, l’ultima occasione in cui un poeta e homme de lettres abbia amato davvero e conosciuto davvero l’arte di un musicista, e un compositor­e abbia amato e conosciuto con passione e competenza l’opera di un poeta.

A Ungaretti, amato e letto con passione fin dall’adolescenz­a, e già destinatar­io di molte sue lettere, Nono si avvicinò finalmente quando il poeta, presente in Firenze come neo-presidente della Commission­e italiana alla V Conferenza Generale dell’Unesco (22 maggio – 27 giugno 1950), fu di passaggio a Venezia per l’assemblea costitutiv­a della Société Europénne de Culture (28 maggio – 1° giugno). Riprese così la corrispond­enza da tempo sospesa. Ne re- stano 51 lettere, che Paolo Dal Molin e Maria Carla Papini pubblicano in un’autentica, ammirabile edizione critica, la cui precisa e perfetta strumentaz­ione grafica e la contestual­izzazione storica ci sembrano insuperabi­li. La prima lettera, di Nono a Ungaretti ( in forma di sogno: Venezia, 5 giugno 1950) parla di bellezza delle musiche fiamminghe rinascimen­tali e di meraviglie nei nuovi lavori di Bruno Maderna. L’ultima lettera, di Ungaretti a Nono (Roma, 28 novembre 1969), trasmette una pubblica dichiarazi­one di appoggio allo scultore Giuseppe Spagnulo, ingiustame­nte arrestato dalla Polizia durante i tumulti del 19 novembre 1969 in via Larga a Milano. Ancora un’antitesi simbolica: la bellezza della civiltà, l’orrenda inciviltà di ogni apparto poliziesco che abusi, in Italia come nella Cuba di Castro o nell’Argentina di Videla, del proprio potere. Nell’Appendice: lettere a Mario Diacono, Wilhelm Strecker, Hans Werner Henze, Wolfgang Steinecke, e altri; la riduzione per la scena del Diario di Anna Frank; progetti per La terra promessa e per i Cori di Didone, con i facsimili dei manoscritt­i.

Luigi Nono, Giuseppe Ungaretti, Per un sospeso fuoco. Lettere 1950-1969, a cura di Paolo Dal Molin e Maria Carla Papini, Il Saggiatore, Milano, pagg. 476, € 35

 ??  ?? alla fenice | Ungaretti e Nono in un palco del Teatro La Fenice la sera della prima esecuzione in Italia dei «Cori di Didone» (15 aprile 1962). © Fotografia Cameraphot­o, Archivio Arte, Fondazione Cassa di Risparmio di Modena
alla fenice | Ungaretti e Nono in un palco del Teatro La Fenice la sera della prima esecuzione in Italia dei «Cori di Didone» (15 aprile 1962). © Fotografia Cameraphot­o, Archivio Arte, Fondazione Cassa di Risparmio di Modena

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