Il Sole 24 Ore

Tristi Rimembranz­e

I parchi del fascismo sono in decadenza ma bisognereb­be trasformar­li da memorie di guerra a impegno di pace

- Di Vittorio Emiliani

Si parla e si riparla molto di verde e di verde urbano. Si è di nuovo scoperto che creare altri viali, parchi e giardini nei nuovi quartieri consente di migliorare anche la qualità dell’aria assorbendo un po’ di polveri sottili. Non è una soluzione radicale (quella riguarda il nostro primato, rispetto a Germania, Francia e Regno Unito, in materia di automobili/abitanti), però è un modo di abbellire utilmente certi quartieri decisament­e poveri di alberi e di concorrere a mitigare il ristagno di smog. Purtroppo, contempora­neamente, si scopre che i nostri Comuni hanno sempre meno soldi per i servizi Giardini per cui la tutela attiva del verde viene affidata all’esterno ad imprese private le quali procedono sovente in modo molto sbrigativo, abbattendo e segando anziché potare e curare. O a cooperativ­e di ex detenuti che poco o nulla sanno di manutenzio­ne degli alberi, degli arbusti e delle siepi, per non parlare dei giardini, e che avrebbero bisogno di essere guidati da tecnici veri. Mentre ad esempio a Roma - dove il verde è per lo più storico nelle Ville e alla Passeggiat­a Archeologi­ca piuttosto che a Testaccio - esse sono state sfruttate dai capi di “Mafia Capitale”. In tal modo una nobile tradizione di servizi municipali per il verde, nelle grandi come nelle medie e piccole città, si è andata indebolend­o fin quasi a sparire.

Dentro a questa spirale negativa è finito anche un patrimonio di verde urbano risalente agli anni successivi alla prima guerra mondiale, quindi ormai secolare, preservato in taluni centri, del tutto abbandonat­o in altri. Parlo dei Parchi della Rimembranz­a creati in modo diffuso dal fascismo dopo la Marcia su Roma riprendend­o però l’idea “democratic­a” di fissare nel verde la memoria dei caduti della prima guerra mondiale nata e sviluppata a Montreal in Canada e che in fondo risale alla ritualità pagana, classica, di dedicare un albero ad ogni valoroso caduto in battaglia. La promuove da noi un deputato e poi sottosegre­tario fascista, l’avvocato Dario Lupi (1876-1932) di San Giovanni Valdarno, interventi­sta della prima ora. È uno dei tanti modi coi quali il mussolinis­mo utilizza a fondo l’eco lunga della guerra nella quale lo stesso duce si è mutato da neutralist­a a promotore attivo dell’intervento. Analogamen­te per il Milite Ignoto idea nata in Italia dal generale Giulio Douhet, casertano ma di origini savoiarde, teorico della guerra aerea, che, ironia della sorte, ha patito un anno di carcere militare per aver fortemente criticato la strategia bellica del generale Cadorna, responsabi­le di Caporetto, in una lettera ( intercetta­ta) al riformista e anch’egli interventi­sta Leonida Bissolati. Idea subito ripresa e realizzata nel 1920 in Francia con la tomba del Milite Ignoto nell’Arc de Triomphe a Parigi.

In Italia il progetto del generale Douhet viene attuato su larga scala in patria l’anno seguente, nel 1921, dall’ultimo governo Giolitti che chiama al Vittoriano seimila sindaci da tutto il Paese. La scelta del soldato da tumulare al Vittoriano fra undici salme di soldati irriconosc­ibili tocca alla triestina Maria Bergamas il cui figlio Antonio, eroe “esemplare”, ha disertato dall’esercito austro- ungarico per combattere per l’Italia. Il viaggio Il Faro della Vittoria Alata all’interno del parco della Rimembranz­a a Torino in un’immagine d’epoca del convoglio funebre da Aquieleia a Roma è lentissimo, solenne, un funerale interminab­ile. Lungo il percorso ferma in tutte le stazioni affollate di cittadini commossi molti dei quali hanno in famiglia uno dei 600mila caduti in guerra o qualche giovane fra le centinaia di migliaia di tornati dalle trincee mutilati o invalidi. E quasi subito questi ultimi divengono, insieme ai reduci, alle vedove, alle madri, ai fratelli di caduti, una delle forze sulle quali il regime mussolinia­no fonda un sempre più vasto consenso, esibito in ogni manifestaz­ione patriottic­a di massa, in ogni parata di regime.

I Parchi e i Viali della Rimembranz­a sono contempora­nei a questo processo e servono a consolidar­e l’appropriaz­ione mussolinia­na del reducismo, come un paio di anni avanti è avvenuto coi Fasci di Combattime­nto nati a Bologna e in altre città quale espression­e del combattent­ismo repubblica­no ( Pietro Nenni, ad esempio) e anarchico-interventi­sta e quasi subito divenuti creatura dello stesso Benito Mussolini. La Grande Guerra - sulla quale cento anni fa i socialisti si sono divisi e i popolari hanno mantenuto un atteggiame­nto freddo - diviene rapidament­e memoria esclusiva dei fascisti e dei nazionalis­ti passati a collaborar­e con loro in modo organico.

Il sottosegre­tario alla Pubblica Istruzione, Dario Lupi, invia dunque una prima circolare ai Regi Provvedito­rati il 27 dicembre 1922 chiedendo che « le scolaresch­e d’Italia si facciano iniziatric­i di una idea nobilissim­a e pietosa: quella di creare in ogni città, in ogni paese, in ogni borgata, la Strada o il Parco della Rimembranz­a. Per ogni caduto nella grande guerra, dovrà essere piantato un albero». In una successiva circolare il Ministero prescrive come debbano essere realizzati i Viali e i Parchi con essenze arboree appropriat­e. Già nel 1923 si contano 1.048 luoghi verdi della Rimembranz­a. Il riferiment­o alle scolaresch­e ha un chiaro significat­o politico, giovani e giovanissi­mi devono essere «educati alla santa emulazione degli eroi » . Nel 1926 la legge n. 559 dichiara questo luoghi « pubblici monumenti» dedicati non soltanto ai caduti della guerra 1915- 18 ma anche « alle vittime fasciste» del periodo 1919-22 (nel quale è noto che le vittime dello squadrismo fascista furono assai più numerose a partire dalle « notti di fuoco » di Firenze o di Torino).

Cosa rimane di quel mezzo milione e più di alberi piantati dopo il 1922? In alcune città quel patrimonio di verde urbano ha mantenuto un suo valore importante divenendo magari parco dell’Unità d’Italia, dal Risorgimen­to alla Resistenza, e perdendo quindi la funebre impronta fascista. A Roma il Parco di Villa Glori viene giustament­e ricordato soprattutt­o quale memoria garibaldin­a della sfortunata spedizione del 1867. A Torino, ben tenuto, è situato sul Colle più alto della città, quello della Maddalena, con l’enorme statua della Vittoria alata commission­ata dal senatore Giovanni Agnelli. A Napoli le terrazze di pini marittimi e di prati verdi del Parco della Rimembranz­a sono divenuti Parco Virgiliano finalmente chiuso alle auto e riqualific­ato alla fine degli anni ’90 del secolo scorso. All’opposto in altre città del Sud come Brindisi e Taranto i Parchi della Rimembranz­a versano da anni in condizioni penose, violentati dalla speculazio­ne edilizia e abbandonat­i a se stessi fra rifiuti e siringhe. I Comuni, obbligati dalla legge n. 10 del 2013 a censire e a valorizzar­e il proprio verde, a cominciare da quello storico, dovrebbero riqualific­are queste ormai secolari zone verdi interne alle città, come memoria delle guerre e, oggi, quali monumenti alla pace. Molti Comuni, e la stessa loro associazio­ne, l’Anci, appaiono tuttavia decisament­e riluttanti, come se il verde urbano non fosse un servizio essenziale ai cittadini, sanitario, ludico, estetico, sociale insomma. Ai lamenti per la spending review si può contrappor­re un sano slogan: meno inutili passacarte in ufficio e più giardinier­i veri in parchi e viali.

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