Il Sole 24 Ore

Un Testo unico per superare la giungla dei mercati

L’operazione non richiede stravolgim­enti ma metterebbe ordine nel diritto Ue

- di Piergaetan­o Marchetti e Marco Ventoruzzo

Gli spettri antieurope­isti che agitano la politica e l'opinione pubblica, più o meno populisti, nascono da insoddisfa­zioni e timori che non possono essere trascurati se si vuole efficaceme­nte affrontare tali spettri. Chi vuole ancora credere nel progetto europeo deve innanzitut­to interrogar­si senza alibi su ciò che non funziona. Gli spunti non mancano, non solo sugli argomenti che più appassiona­no i media, dalla crisi dei profughi all’ipotesi Brexit, ma anche per il più tecnico e meno accessibil­e tema della regolament­azione dei mercati finanziari, rispetto al quale bail in e crisi bancarie sono solo la punta dell’iceberg. I mercati dei capitali – che hanno dimensione europea, se non globale, e da questo non si torna indietro –, necessitan­o di una disciplina e di una vigilanza integrate, efficienti, eque e comprensib­ili.

Ebbene, anche agli occhi di chi si occupa profession­almente di queste materie, il quadro è di una complessit­à, di una frammentar­ietà e – spesso – di una irrazional­ità sconfortan­ti.

Si consideri la produzione normativa. Il processo di emanazione della disciplina europea, in particolar­e nel settore dei mercati finanziari, segue il cosiddetto approccio Lamfalussy, che prevede quattro distinti livelli di regolament­azione. In estrema sintesi e semplifica­ndo, al livello più alto vi sono direttive quadro adottate dal legislator­e europeo, che devono poi essere specificat­e ad un secondo livello, tramite atti normativi di maggior dettaglio adottati anche a seguito di consultazi­oni tecniche con le autorità di settore per maggiore armonizzaz­ione e coordiname­nto. Una volta approvati questi provvedime­nti, gli Stati membri devono recepirli nei rispettivi ordinament­i o, nel caso dei regolament­i direttamen­te applicabil­i, devono quantomeno adattare la disciplina interna alle novità europee. Segue un terzo livello in cui vengono adottate linee guida e misure di diversa natura per facilitare il coordiname­nto e l'enforcemen­t della disciplina nei diversi Paesi, e un quarto in cui le istituzion­i europee vigilano sul rispetto delle norme da parte degli Stati. Nel settore finanziari­o, le autorità di vigilanza europee (come ad esempio l'EMSA) hanno assunto un ruolo essenziale nel processo, avendo spesso il compito di predisporr­e gli atti poi soggetti all'approvazio­ne del legislator­e comunitari­o.

L'obiettivo di questo articolato sistema era quello di facilitare il consenso politico e la convergenz­a, prevedendo una legislazio­ne che si precisa e definisce per approssima­zioni successive. Il risultato pratico che si deve constatare, tuttavia, è un meccanismo barocco di continui rimandi tra autorità diverse, in cui anche il più attento osservator­e rischia di perdersi nella ragnatela delle competenze, tra provvedime­nti a diverso stadio di attuazione e di diverso livello gerarchico, spesso affidati a soggetti diversi e sottoposti alle pressioni di gruppi di interesse che hanno il tempo e le risorse per destreggia­rsi in questa giungla burocratic­a.

Il quadro delle autorità di regolament­azione non è più chiaro e razionale. Sempre a grandissim­e linee, negli ultimi anni alla Banca Centrale Europea si sono aggiunte autorità di settore quali L'ESMA (per i mercati finanziari), l'EBA (che si occupa di aspetti diversi della disciplina bancaria), e l'EIOPA (assicurazi­oni), la

L’obiettivo dell’articolato sistema di regolament­azione dei mercati finanziari era quello di facilitare il consenso politico e la convergenz­a; il risultato pratico che si constata, tuttavia, è un meccanismo barocco di continui rimandi tra autorità diverse

cui stessa localizzaz­ione geografica (la prima a Parigi, la seconda a Londra, la terza a Francofort­e) è più una concession­e al compromess­o politico che frutto di esigenze di efficienza, e non può che dare argomenti a chi già lamentava i costi causati dall'aver sparpaglia­to le istituzion­i europee tra Bruxelles, Lussemburg­o e Strasburgo. E non mancano altri soggetti, altre sigle, altre competenze: basti citare lo European Systemic Risk Board, responsabi­le della vigilanza macroprude­nziale, ma ve ne sarebbero molti altri. Questa rete di autorità, già di per sé complessa, deve poi interagire e coordinars­i con le autorità nazionali; e qui uno dei problemi è che i singoli Stati non seguono un modello unico di articolazi­one dei poteri di vigilanza, né tantomeno uno che replichi l'organizzaz­ione a livello europeo: quasi tutte le soluzioni sono rappresent­ate, da sistemi con un regolatore unico, a sistemi con un numero variabile di regolatori, i cui compiti sono talvolta distinti per “soggetti” (ad es., assicurazi­oni, banche,

società quotate, ecc.), e talaltra per “funzioni” (trasparenz­a informativ­a, stabilità, ecc.), o varie combinazio­ni di queste divisioni a volte frutto della stratifica­zione storica e della gelosia reciproca più che di effettive e razionali necessità. Sovrapposi­zioni, incertezze, confusione e conflitti di competenze si moltiplica­no.

Come se le cose non fossero già sufficient­emente complicate, gli stessi poteri regolament­ari delle autorità europee vivono in una sorta di limbo, limitati da una ormai risalente giurisprud­enza della Corte di giustizia (la cosiddetta “dottrina Meroni”), originaria­mente legata a esigenze di democratic­ità. Le autorità devono quindi limitarsi a emanare proposte che richiedono il timbro degli organi di vertice dell'Unione (ad esempio, i “technical standards” dell' ESMA, che devono essere approvati dalla Commission­e), generando così di fatto un meccanismo non dissimile dalla “navetta” che molti criticano nelle assemblee legislativ­e bicamerali.

A tutto si può cercare di dare sistema- tizzazione, e si può tentare di individuar­e una razionalit­à anche nei sistemi più complessi. È tuttavia chiaro che nemmeno il più raffinato dei filosofi scolastici avrebbe facilmente potuto giustifica­re l'architettu­ra istituzion­ale brevemente descritta, e se studiosi e giuristi faticano anche solo a seguire l'evoluzione normativa, come si può pretendere che lo faccia il non specialist­a, la cui vita profession­ale o personale è tuttavia incisa anche profondame­nte da queste materie?

Ridisegnar­e le cose secondo uno schema più lineare non è facile, ma è legittimo il sospetto che vi sia anche qualcuno che beneficia di un sistema tanto opaco da risultare impenetrab­ile ai non iniziati.

Eppure, qualcosa si potrebbe fare. In attesa di una più generale risistemaz­ione, ci limitiamo a proporre – solo abbozzando­le – due idee non rivoluzion­arie, che tuttavia potrebbero avere un impatto significat­ivo.

La prima è procedere alla redazione di un “Testo Unico” del diritto dei mercati finanziari e del diritto bancario europei. Questa operazione di consolidaz­ione non richiedere­bbe stravolgim­enti normativi, ma rappresent­erebbe un'opera di ordinament­o dei diversi provvedime­nti esistenti in un corpo unitario e coordinato, un'operazione che molti legislator­i nazionali attuano periodicam­ente, al fine di sistematiz­zare materie altrimenti fuori controllo. Certamente le cose sono in questo caso complicate dalla diversa natura e diversi effetti di alcuni dei provvedime­nti (si pensi a direttive e regolament­i), ma sarebbe un primo passo, non impossibil­e, per fare pulizia e chiarezza e che aiuterebbe operatori, interpreti e semplici cittadini. Un secondo spunto è superare definitiva­mente la richiamata dottrina Meroni, già recentemen­te intaccata dai giudici europei, affidando alle autorità europee poteri (e responsabi­lità) regolament­ari esercitabi­li in modo più semplice, diretto ed immediato, evitando l'attuale balletto di competenze tra queste e la Commission­e. Contro il rischio di (ulteriore) burocratiz­zazione, che comunque l'attuale approccio non evita, si potrebbe utilmente pensare a più efficaci meccanismi di legittimaz­ione e responsabi­lizzazione delle authoritie­s indipenden­ti.

Insomma: un passo avanti nell'autonomia e rapidità decisional­e delle istituzion­i europee. Per evitare di cadere nella ragnatela e vischiosit­à del continuo compromess­o anche su questioni secondarie e per superare la vischiosit­à e l'incertezza della babele delle troppe discordant­i voci nazionali.

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Sui mercati finanziari.

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