L’Europa a tassi negativi aspetta la risposta Fed
I mercati puntano sul rinvio a giugno del rialzo Usa
D opo le decisioni prese giovedì scorso dalla Bce che ha ulteriormente accentuato la politica dei tassi di interesse negativi, si guarda alla Federal Reserve che mercoledì comu- nicherà se e come intende modificare la propria politica monetaria. I mercati scommettono sul rinvio a giugno dell’aumento previsto.
Archiviata la Bce, l’attesa è subito per le altre banche centrali. In particolare: Fed e Bank of Japan. Nel loro eterno presente, checché ne dicano i cantori delle doti prospettiche dei mercati, le Borse hanno sempre bisogno di nuovi spunti a sostegno dei loro movimenti. Così, quale migliore occasione dei meeting degli altri istituti? Il più importante, senza dubbio, è quello della Riserva federale statunitense. Il suo Comitato di politica monetaria si riunisce martedì e mercoledì prossimo.
Il consensus, va detto, stima (salvo sorprese dell’ultima ora) nessun rialzo del costo del denaro. Yanet Yellen salterà il turno.
Certo: il tasso di disoccupazione è ai minimi. Inoltre: lo stesso calo delle buste paga, come sottolinea la Fed di San Francisco, è dovuto alle nuove assunzioni con salari inferiori rispetto al passato. E, quindi, non segnala un deterio- ramento del mercato del lavoro. Ciò nonostante l’atteggiamento della Federal reserve rimarrà presumibilmente di “wait and see”.
L’istituto di Washington infatti, secondo IntesaSanpaolo, dovrebbe sottolineare che c’è bisogno di ancora un po’ di tempo per archiviare i timori di contraccolpi in arrivo dall’estero (leggi Cina ed emergenti). Inoltre, sottolineano altri esperti, seppure il pacchetto di misure dispiegato da Mario Draghi ha sorpreso tutti, l’euro non è sceso rispetto al dollaro. Di conseguenza non si capisce perchè la Fed dovrebbe, alzando i tassi adesso, dare una mano alle esportazioni “Made in Europe”.
Ciò detto, come peraltro indicano le stesse previsioni implicite di Bloomberg sui Fed funds, il ritocco all’insù ci sarà. L’attesa è tra fine primavera e inizio estate. In quel periodo, salvo imprevisti, il canale di riferimento dei tassi sarà portato dall’attuale 0,25-0,5% allo 0,5-0,75%.
Tutto lineare, quindi? Ovviamente la realtà è più complessa. Soprattutto con riferimento al possibile numero di interventi nel 2016. UniCredit, ad esempio, prevede tre ritocchi all’insù entro l’anno. La stessa Credit Suisse ritiene che le «previsioni della Fed sull’opportuno percorso dei tassi (...) segnaleranno un ritmo di rialzo di 25 punti base a trimestre» fino alla fine dell’anno.
Queste valutazioni, tuttavia, non sono condivise da altri esperti i quali ipotizzano che le strette monetarie saranno in numero minore. Soprattutto perchè, a fronte dell’incombere delle elezioni presidenziali, il tempo a disposizione della Yellen per fare le sue mosse è limitato.
Ma non è solamente la Fed. In quella che, da molti, è stata definita la settimana delle banche centrali, un ruolo lo recita anche la Bank of Japan (BoJ). Quest’ultima, è noto, di recente ha introdotto i tassi negativi sui depositi presso di lei. La strategia però, a differenza della Bce, è diversificata. Ai soldi già depositati infatti è riconosciuto un interesse positivo dello 0,1%. Le riserve obbligatorie presso la BoJ pagheranno zero interessi mentre ai futuri depositi addizionali sarà addebitato un tasso dello 0,1%.
Il messaggio, al di là della finalità di sostenere il credito verso il sistema-Giappone, è chiaro: la gradualità dell’impostazione implica che è possibile un ulteriore ritocco all’ingiù dei tassi.
Questo avverrà già nella riunione della BoJ del 14-15 marzo? Improbabile. È ben vero, infatti, che dal minimo del 5 giugno 2015 lo yen si è apprezzato di oltre il 10% verso il dollaro. Il che, giocoforza, può fare pensare ad altre mosse del governatore Haruhiko Kuroda.
Tuttavia: da un lato la pressione sul fronte dei mercati finanziari è diminuita; e, dall’altro, la mossa sui tassi di deposito è troppo recente. Così, seppure il percorso di allentamento quantitativo proseguirà, la scommessa è che il ritocco all’ingiù del tasso di riferimento ci sarà in aprile.
Dall’isola del Sol Levante ad Albione. Anche in Gran Bretagna l’istituto centrale è atteso alla prova del mercato. La Bank of England arriverà buona ultima, tra le banche delle economie più industrializzate, a svelare le sue strategie. Il 17 marzo indicherà se ci sarà una modifica della sua politica monetaria. Gli esperti, almeno rispetto al tasso di finanziamento, propendono per il no. Bloomberg, analogamente a UniCredit, stima che il costo del denaro rimarrà ai livelli attuali: lo 0,5%.
Detto dei principali Paesi industrializzati, l’interesse degli esperti è però anche verso gli emerging market. Venerdì 18, infatti, sia la Banca centrale messicana che quella russa riuniranno i loro comitati di politica monetaria. In particolare il focus è su Mosca. Cioè, seppure il consensus non lo prevede, i mercati vogliono capire se è possibile un allentamento della stretta sul costo del denaro (ad oggi il tasso è all’11%). Nell’ipotesi questo accadesse, sarebbe l’indizio che la situazione un po’ migliora. Con il petrolio che (fin qui) non crolla più gli emerging potrebbero tornare di moda. Almeno sul fronte borsistico.
GLI SCENARI Il consensus prevede il rialzo del costo del denaro in America tra fine primavera e l’estate Nel prossimo meeting la BoE dovrebbe rimanere ferma