De Vincenti: «Con le riforme i Comuni taglino le tasse»
De Vincenti: i Comuni sfruttino il riordino dei servizi pubblici locali e delle partecipate
«Mi aspetto che i Comuni usino i risparmi derivanti dalla riforma dei servizi pubblici locali per aumentare i servizi ai cittadini e per ridurre le tasse sul territorio». In un’intervista al Sole24 Ore il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti pronostica un ridimensionamento delle imposte locali. Intanto è pronto per la pubblicazione in Gazzetta il decreto attuativo sugli sgravi per premi di produttività e distribuzione degli utili ai lavoratori.
Il vero test della doppia riforma sui servizi pubblici locali e le partecipate saranno gli effetti reali, tangibili, per i cittadini. Claudio De Vincenti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, pronostica due possibili risultati: «Mi aspetto che i Comuni usino i risparmi generati dalla riforma per aumentare i servizi ai cittadini e per ridurre le tasse locali».
Si è quasi perso il conto delle riforme tentate in questo settore. Perché questa dovrebbe essere la volta buona?
Perché stavolta si tratta di una riforma che stabilizza e rende coerente la normativa. Un difetto che abbiamo vissuto negli ultimi 20 anni è stato l’andamento ondivago della legislazione. Le nuove norme non contraddicono il punto a cui si è arrivati dopo 20 anni di cambiamento ma consolidano il quadro di riferimento per le amministrazioni e, a maggior ragione direi, per le aziende e consentono di accelerare lo sviluppo imprenditoriale dei servizi.
Quando diventeranno operativi i due riassetti?
I due testi unici sono già stati depositati presso la Conferenza unificata e il Consiglio di Stato che dovranno fornire il parere entro 45 giorni. Poi i testi saranno trasmessi alle commissioni parlamentari che avranno al massimo altri 60 giorni per esprimersi. Ci ripromettiamo dunque di concludere il processo non oltre questi tre mesi e mezzo, possibilmente prima.
Che cosa cambierà concretamente per i cittadini?
Considerati insieme, questi due decreti configurano una riforma dei servizi ai cittadini che ha un significato molto forte, all’insegna dell’efficienza (quindi costi più bassi) e dell’efficacia (che vuol dire qualità migliore). Mettiamo in piedi meccanismi che consentono agli enti locali risparmi di risorse che i Comuni, nella loro autonomia, potranno usare per sviluppare i servizi forniti ai cittadini e per ridurre la pressione fiscale.
Da dove deriveranno i risparmi?
Da quella che considero una grande operazione di politica industriale costruita su tre pilastri. Prima di tutto allineiamo le regole sui servizi pubblici locali ai principi di concorrenza propri della Ue, rispettando peraltro rigorosamente il risultato referendario del 2011. Per i servizi di interesse economico generale sono previste le tre forme di affidamento indicate dalla normativa Ue - gare per scelta impresa o per società mista o in house - con la precisazione però che anche l’in house deve rispondere a criteri di efficienza.
Questo è da sempre il punto irrisolto. Stavolta che cosa cambia?
In caso di scelta dell’in house, che non si sottopone a selezione di mercato, andrà chiarito che la gestione è non svantaggiosa in termini di costi ed efficacia per i cittadini. Il provvedimento motivato dell’ente locale dovrà dare conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato e del fatto che la scelta non è comparativamente peggiorativa per la collettività rispetto alle altre due. E comunque le risorse pubbliche statali saranno rigorosamente orientate a premiare le gestioni più efficienti.
Secondo alcuni addetti ai lavori la riforma è poco coraggiosa nell’incentivare le aggregazioni.
Non sono d’accordo. Entrambi i testi spingono all’aggregazione e questo è il secondo pilastro del disegno di politica industriale al quale accennavo. In particolare, nel caso dei servizi pubblici locali, si consolida l’approccio per ambiti territoriali ottimali non inferiori alla dimensione provinciale. Non solo. Le risorse pubbliche vanno a premiare le aggregazioni in quanto vengono attribuite solo agli enti di governo e ai gestori degli ambiti o dei bacini territoriali di dimensioni adeguate. Ricordo poi la norma della legge di Stabilità 2015 in base alla quale le entrate derivanti agli enti locali dalla cessione di quote delle proprie partecipate in processi di aggregazione sono liberamente impiegabili per investimenti.
Veniamo alla riduzione delle partecipate pubbliche. Qual è l’obiettivo?
Diciamo basta alle posizioni di rendita, ed è il terzo pilastro del piano. Si definiscono innanzitutto i settori nei quali ha senso costituire o mantenere società con partecipazione pubblica, poi razionalizziamo le attuali partecipate con criteri molto significativi per determinare quali andranno alienate.
Quante partecipate saranno coinvolte?
Confermiamo l’obiettivo di approdare alla fine del percorso da circa 8mila a 1.000 partecipate. Per cominciare questo percorso, già entro sei mesi le Pa dovranno scrivere un piano straordinario di razionalizzazione e dovranno procedere con le relative alienazioni entro l’anno successivo.
Siete preoccupati per la gestione degli esuberi? Per le Province ci sono state difficoltà.
Il problema relativo alle Province è ormai in corso di soluzione. Per le partecipate, ove sorga una questione simile, si potrà gestire con analoga mobilità verso altre società. Il fatto è che la maggiore efficienza consentirà di sviluppare i servizi, quindi di assorbire eventuali eccedenze.
Subito prima di Pasqua la Conferenza unificata esaminerà i due testi. Teme obiezioni di Regioni e Comuni?
Al contrario. Ho molta fiducia che le Regioni e gli enti locali colgano che questi testi costituiscono per loro una grande opportunità, perché ne rafforzeranno i poteri come concedenti e regolatori e consentiranno di conseguire risparmi.
«I due Testi unici sono frutto di un disegno coerente di politica industriale»