Il Sole 24 Ore

La rotta tracciata per un fisco più equo

- Di Salvatore Padula

Due anni fa, proprio in questi giorni, il Parlamento approvava la legge delega per la riforma fiscale, anzi – come recita un po’ pomposamen­te il suo titolo – la legge delega «per un si- stema fiscale più equo, trasparent­e e orientato alla crescita».

Nessuno probabilme­nte si era illuso che la delega al Governo potesse davvero cambiare volto al sistema fiscale italiano.

Soprattutt­o nessuno si era illuso che da lì potesse arrivare il taglio di una pressione fiscale che veleggia oltre il 43% e che arriva a superare il 50% se si tiene conto del sommerso che, per definizion­e, contribuis­ce al Pil ma le tasse non le paga.

Con la delega, in alcuni ambiti – dall’abuso del diritto al riordino del sistema sanzionato­rio amministra­tivo e penale fino alle novità del decreto internazio­nalizzazio­ne – sono state poste le basi per un sistema forse non ancora “più equo, trasparent­e e orientato alla crescita” ma certamente almeno un po’ migliore.

La delega non è intervenut­a sulla struttura del prelievo, sull’assetto delle imposte. Né sul livello della pressione fiscale. In realtà, la pressione fiscale è la combinazio­ne del costo effettivo delle imposte con i costi della gestione amministra­tiva dei tributi. Vedremo, tra un po’ di tempo, se i benefici derivanti dalle nuove regole si fanno sentire.

Sarebbe un passo verso un percorso di normalizza­zione della pressione fiscale che appare ancora molto lungo. Ma che, è giusto ri- conoscerlo, è stato avviato. Il fatto è che una pressione fiscale così elevata finisce per oscurare la percezione di un alleggerim­ento fiscale che, almeno nei numeri, è però visibile, anche se timido.

Il governo, nella sua prima fase, ha giustament­e puntato a interventi per alleggerir­e il prelievo su lavoro e imprese. La stessa “operazione 80 euro” (tecnicamen­te non un taglio dell’Irpef) ha la finalità di aumentare il reddito disponibil­e dei dipendenti, per incentivar­e i consumi e fare da volano alla domanda interna.

Nel 2015, tanto l’azzerament­o dell’Irap sul costo del lavoro quanto la decontribu­zione per le nuove assunzioni hanno prodotto risultati che non si possono sottovalut­are.

Il 2016 ha visto però una parziale deviazione da questo percorso e il governo, nonostante i richiami di Bruxelles, ha preferito destinare 4,5 miliardi al taglio della Tasi e di alcune componenti dell’Imu. A dire il vero, nella manovra di quest’anno c’è un miliardo per la defiscaliz­zazione, oltre a svariate centinaia di milioni tra bonus e regimi agevolati.

Che accadrà da qui in poi? Dipenderà dalle risorse, ovviamente. Dalla capacità di fare tagli di spesa, dalle aperture di Bruxelles in chia- ve di politiche espansive. Ma anche dalla tagliola delle clausole di salvaguard­ia che continuano a pesare sui conti pubblici. Però qualche punto fermo è già noto.

La rotta che punta a lavoro e imprese sarà ripresa nel 2017: la manovra approvata a dicembre pre- vede, dall'anno prossimo, il taglio di 4 punti dell’aliquota Ires, con un alleggerim­ento fiscale di circa 3 miliardi, che diventeran­no 4 miliardi nel 2018.

La tabella di marcia proseguirà poi con l’Irpef, proprio nel 2018, probabilme­nte l’anno delle elezioni, dove – oltre a un alleggerim­ento per i redditi medi – si dovrà forse riflettere sull’assetto complessiv­o di quello che resta il principale tributo del nostro sistema. Un tributo che colpisce circa 40 milioni di cittadini e vale complessiv­amente 176 miliardi di euro, oltre il 40% dell’intero gettito erariale, e che tra deduzioni, detrazioni, eccezioni, regimi speciali e così via, sta pagando un prezzo elevatissi­mo in termini di equità, trasparenz­a e complessit­à.

Si può e si deve, naturalmen­te, fare di più. Senza rinunciare a cose solo apparentem­ente minori. Per esempio, bisogna credere di più nei meccanismi di destinazio­ne dei proventi della lotta all’evasione al fondo taglia tasse. E bisogna farlo senza cedimenti: in passato quei fondi sono poi stati poi utilizzati per altre finalità.

Si possono poi immaginare altri interventi, che non sono un vero e proprio taglio della pressione fiscale ma che possono portare benefici al sistema. Si parla spesso di riordino delle agevolazio­ni fiscali in chiave di spending review. Certo, se taglio un’agevolazio­ne, di fatto, sto aumentando le tasse. Ma se destino queste risorse a un fondo per la riduzione delle aliquote, rimetto in circolo svariati miliardi di euro che mi consentono di avere un sistema più semplice e meno discrezion­ale. Un primo passo verso una maggiore equità.

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