La rotta tracciata per un fisco più equo
Due anni fa, proprio in questi giorni, il Parlamento approvava la legge delega per la riforma fiscale, anzi – come recita un po’ pomposamente il suo titolo – la legge delega «per un si- stema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita».
Nessuno probabilmente si era illuso che la delega al Governo potesse davvero cambiare volto al sistema fiscale italiano.
Soprattutto nessuno si era illuso che da lì potesse arrivare il taglio di una pressione fiscale che veleggia oltre il 43% e che arriva a superare il 50% se si tiene conto del sommerso che, per definizione, contribuisce al Pil ma le tasse non le paga.
Con la delega, in alcuni ambiti – dall’abuso del diritto al riordino del sistema sanzionatorio amministrativo e penale fino alle novità del decreto internazionalizzazione – sono state poste le basi per un sistema forse non ancora “più equo, trasparente e orientato alla crescita” ma certamente almeno un po’ migliore.
La delega non è intervenuta sulla struttura del prelievo, sull’assetto delle imposte. Né sul livello della pressione fiscale. In realtà, la pressione fiscale è la combinazione del costo effettivo delle imposte con i costi della gestione amministrativa dei tributi. Vedremo, tra un po’ di tempo, se i benefici derivanti dalle nuove regole si fanno sentire.
Sarebbe un passo verso un percorso di normalizzazione della pressione fiscale che appare ancora molto lungo. Ma che, è giusto ri- conoscerlo, è stato avviato. Il fatto è che una pressione fiscale così elevata finisce per oscurare la percezione di un alleggerimento fiscale che, almeno nei numeri, è però visibile, anche se timido.
Il governo, nella sua prima fase, ha giustamente puntato a interventi per alleggerire il prelievo su lavoro e imprese. La stessa “operazione 80 euro” (tecnicamente non un taglio dell’Irpef) ha la finalità di aumentare il reddito disponibile dei dipendenti, per incentivare i consumi e fare da volano alla domanda interna.
Nel 2015, tanto l’azzeramento dell’Irap sul costo del lavoro quanto la decontribuzione per le nuove assunzioni hanno prodotto risultati che non si possono sottovalutare.
Il 2016 ha visto però una parziale deviazione da questo percorso e il governo, nonostante i richiami di Bruxelles, ha preferito destinare 4,5 miliardi al taglio della Tasi e di alcune componenti dell’Imu. A dire il vero, nella manovra di quest’anno c’è un miliardo per la defiscalizzazione, oltre a svariate centinaia di milioni tra bonus e regimi agevolati.
Che accadrà da qui in poi? Dipenderà dalle risorse, ovviamente. Dalla capacità di fare tagli di spesa, dalle aperture di Bruxelles in chia- ve di politiche espansive. Ma anche dalla tagliola delle clausole di salvaguardia che continuano a pesare sui conti pubblici. Però qualche punto fermo è già noto.
La rotta che punta a lavoro e imprese sarà ripresa nel 2017: la manovra approvata a dicembre pre- vede, dall'anno prossimo, il taglio di 4 punti dell’aliquota Ires, con un alleggerimento fiscale di circa 3 miliardi, che diventeranno 4 miliardi nel 2018.
La tabella di marcia proseguirà poi con l’Irpef, proprio nel 2018, probabilmente l’anno delle elezioni, dove – oltre a un alleggerimento per i redditi medi – si dovrà forse riflettere sull’assetto complessivo di quello che resta il principale tributo del nostro sistema. Un tributo che colpisce circa 40 milioni di cittadini e vale complessivamente 176 miliardi di euro, oltre il 40% dell’intero gettito erariale, e che tra deduzioni, detrazioni, eccezioni, regimi speciali e così via, sta pagando un prezzo elevatissimo in termini di equità, trasparenza e complessità.
Si può e si deve, naturalmente, fare di più. Senza rinunciare a cose solo apparentemente minori. Per esempio, bisogna credere di più nei meccanismi di destinazione dei proventi della lotta all’evasione al fondo taglia tasse. E bisogna farlo senza cedimenti: in passato quei fondi sono poi stati poi utilizzati per altre finalità.
Si possono poi immaginare altri interventi, che non sono un vero e proprio taglio della pressione fiscale ma che possono portare benefici al sistema. Si parla spesso di riordino delle agevolazioni fiscali in chiave di spending review. Certo, se taglio un’agevolazione, di fatto, sto aumentando le tasse. Ma se destino queste risorse a un fondo per la riduzione delle aliquote, rimetto in circolo svariati miliardi di euro che mi consentono di avere un sistema più semplice e meno discrezionale. Un primo passo verso una maggiore equità.