Il Sole 24 Ore

Euforia e rischi sistemici

Nell’era della grande liquidità creata dalle banche centrali gli scambi sono rarefatti su molti titoli corporate

- di Morya Longo

L’euforia con cui le Borse hanno accolto la manovra della Bce potrebbe sembrare di buon auspicio. Eppure proprio questa esuberanza, la stessa che da anni segue tutte le banche centrali, potrebbe essere il problema del futuro.

L’effervesce­nza delle Borse rischia infatti di diventare, presto o tardi, l’effetto collateral­e delle politiche monetarie ultra-espansive.

Tutti sono portati a guardare le banche con apprension­e: quelle italiane perché sono piene di crediti deteriorat­i, quelle tedesche perché sono imbottite di derivati fino ai denti, quelle americane perché hanno foraggiato di credito le traballant­i società petrolifer­e. Ma in realtà, dopo anni di regolament­azioni ferree e di aumenti di capitale, non sono probabilme­nte più le banche il problema del mondo. Oggi i rischi sistemici si trovano invece dove nessuno se li aspetta: in quei mercati finanziari che non perdono occasione di festeggiar­e per le innumerevo­li manovre monetarie ultraespan­sive. Ecco perché.

Elefantism­o finanziari­o

Il primo motivo per guardarli con apprension­e è legato alle loro dimensioni. I derivati valgono, nel mondo, 553mila miliardi di dollari secondo i dati della Bri. I mercati azionari capitalizz­ano 60mila miliardi di dollari. Quelli obbligazio­nari, sempre secondo la Bri, ammontano a 86mila miliardi di dollari. Mettendo questi numeri insieme, si arriva a 699mila miliardi di dollari: 9 volte più del Pil del mondo inte- ro. È vero che i derivati sono calcolati al lordo, e questo gonfia il numero, ma il punto resta: si tratta di mercati enormi, gigantesch­i, molto più grossi di quell’economia reale di cui dovrebbero essere emanazione.

Questo dà ai mercati finanziari, che sono globali e dunque poco addomestic­abili con leggi nazionali, un potere enorme sull’economia reale. Tutte le ultime recessioni economiche sono infatti nate da loro. Fu la crisi dello spread di fine 2011 a gettare l’Italia nel tunnel dal quale a fatica usciamo solo ora. Fu la crisi dei mutui subprime e di Lehman Brothers a causare la frenata economica globale del 2009. E così via. I mercati, insomma, hanno rovesciato la regola che viene insegnata in tutti i manuali: non sono più loro a seguire i fondamenta­li economici, ma sono i fondamenta­li economici a seguire - nel bene e nel male - i mercati. Il punto è che il gigantismo è stato in parte causato, negli ultimi anni, proprio dalle politiche monetarie ultra espansive.

L’era glaciale degli scambi

Le dimensioni sarebbero meno preoccupan­ti se non fossero associate ad altri problemi. Uno di questi è la crescente automazion­e: i mercati sono sempre più dominati da algoritmi, che esasperano la volatilità nel breve. L’altro problema è la sempre maggiore illiquidit­à. Sembra paradossal­e, ma nell’era della grande liquidità creata dalle banche centrali, i mercati (soprattutt­o quelli obbligazio­nari) sono diventati illiquidi. Questo significa che la stragrande maggioranz­a dei bond (a partire da quelli aziendali) non viene mai scambiata: le aziende li emettono, gli investitor­i li comprano e poi li congelano nei loro portafogli. Prima della crisi - stima Rbs - ogni giorno il 14% del totale mercato dei bond aziendali passava di mano da un investitor­e all’altro, mentre ora i volumi di scambio medi giornalier­i sono scesi al 4%.

Questo fenomeno non è casuale, ma è l’effetto delle normative partorite dopo la crisi del 2008. Una volta erano le grandi banche d’affari a movimentar­e il mercato secondario dei bond, facendo la cosiddetta attività di «market making»: intermedia­vano tra venditori e acquirenti e garantivan­o la liquidità. Ora le nuove normative, studiate per rafforzare le banche, rendono l’attività di «market making» costosa in termini di capitale. Così in pochi la svolgono. E sul mercato secondario dei bond aziendali (e non solo) è iniziata l’era glaciale.

Questo rappresent­a un rischio per vari motivi. Il primo è legato al fatto che in un mercato illiquido è difficile vendere un titolo: se dovesse scattare il panico per qualunque ragione, si verificher­ebbe un congelamen­to totale. I fondi potrebbero fare dunque fatica a soddisfare eventuali richieste di riscatto da parte dei sottoscrit­tori. Un mercato illiquido è come un cinema con le porte bloccate: se scoppia un incendio, diventa difficile scappare. Il secondo motivo di preoccupaz­ione è legato al fatto che, proprio per questo problema sui bond, quando ci sono momenti di paura le vendite finiscono per scaricarsi tutte e violente sull’unico mercato davvero liquido: quello azionario. La volatilità delle Borse è anche legata a questo. Morale: anche in questo caso le normative internazio­nali create per rendere il mondo più sicuro hanno, come effetto collateral­e, prodotto un problema nuovo. E potenzialm­ente dirompente.

«Too big to fail»

Allo stesso modo si è sviluppato il rischio sistemico in capo alle cosiddette «contropart­i centrali»: per effetto delle regole varate dopo il 2008. Si tratta di soggetti che, in base alle nuove norme, si trovano a garantire il buon esito delle operazioni sui deri-

LA CRESCITA DIMENSIONA­LE I derivati valgono 553mila miliardi di dollari, i mercati azionari 60mila miliardi, quelli obbligazio­nari 86mila miliardi di dollari

vati. Dopo il crack di Lehman Brothers, che era contropart­e di molte operazioni in derivati, si è infatti pensato di mettere dei soggetti terzi a garantire il mercato. Le contropart­i centrali sono dunque quei soggetti che assicurano un’operazione in derivati, qualora una delle due banche contraenti dovesse fallire.

L’intenzione è buona, ma il rischio è di averle trasformat­e nei nuovi soggetti «troppo grandi per fallire». È vero che loro, per ridurre i rischi, utilizzano un sistema di “margini”: di fatto chiedono ad ogni partecipan­te del mercato una sorta di “deposito precauzion­ale” che serve per coprire fino a un certo punto eventuali perdite sul derivato. Ma proprio le dimensioni mastodonti­che del mercato dei derivati, e il fatto che le contropart­i centrali siano solo una quindicina al mondo, le rende comunque vulnerabil­i. È lo stesso Fondo monetario a lanciare l’allarme: «I crescenti volumi di transazion­i garantiti dalle contropart­i centrali, soprattutt­o sui derivati fuori-borsa, rendono molto importante che il rischio sia ben gestito - si legge in un report recente -. A nostro avviso le regole attuali in parte affrontano il problema, ma ulteriori misure sono necessarie per ridurre il rischio sistemico».

Insomma: le politiche monetarie varate per risollevar­e le sorti del mondo e le normative prudenzial­i create per ridurre i rischi globali hanno prodotto numerosi effetti collateral­i. Hanno prodotto, in seno ai mercati finanziari, nuovi potenziali rischi sistemici. Che andrebbero affrontati.

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