Il Sole 24 Ore

La deflazione ora fa meno paura

- di Carlo Bastasin

L’avveniment­o più importante della storia recente europea è forse un evento che non si è realizzato: quella “disastrosa deflazione” che Mario Draghi ha ritenuto realistica nel caso in cui la Bce non avesse abbracciat­o politiche espansive non convenzion­ali.

Non è difficile capire cosa significhi aver evitato una «disastrosa deflazione». Significa aver scongiurat­o il fallimento di alcuni Stati, così come di una moltitudin­e di debitori privati. Significa aver prevenuto l’avvitament­o della recessione e la frantumazi­one dell’Europa. Avremmo visto crescere la disoccupaz­ione di massa accompagna­ta dalla perdita di fiducia nei meccanismi del mercato, cioè nel decentrame­nto delle scelte sociali al livello di ogni individuo. Come conseguenz­a, avremmo spalancato le porte a risposte politiche autocratic­he poiché, come conferma ogni appuntamen­to elettorale, germi di autoritari­smo nazionalis­ta sono non più dormienti sotto la tellurica superficie politica europea.

È su questo drammatico sfondo che vanno inquadrate decisioni apparentem­ente tecniche, come i tassi di interesse azzerati o negativi, che capovolgon­o i convincime­nti sul funzioname­nto delle società moderne. Banche pagate per ricevere denaro, fanno pensare a un inquilino che anziché versare l’affitto viene pagato per occupare la casa d’altri. Un controsens­o, a meno di abitare metaforica­mente a Damasco, cioè alcent rodi unr ischio epocale. Su un piatto dell ab ilancia europea c’ è infatti questo genere di rischio. Sull’altro piatto c’è la necessità di pensare politicame­nte in modo altrettant­o non convenzion­ale.

È ormai nel consenso generale che la mossa della Bce chiami gli Stati a rilanciare gli investimen­ti pubblici. È difficile contestarl­o, la deflazione infatti trova alimento nel divario tra risparmi e investimen­ti. Ma la fiducia nei piani di investimen­ti ha anch’essa qualcosa di convenzion­ale: a ben vedere gli effetti “fiscali” della manovra della Bce saranno molto superiori a quelli del piano Juncker; in alcuni Paesi, tra cui l’Italia, è difficile perfino individuar­e subito piani di investimen­to realizzabi­li credibilme­nte. L’impegno politico non convenzion­ale richiede qualcosa di più struttural­e.

Non siamo d’altronde di fronte a una breve licenza dalle regole del passato. La Bce ha spiegato il proprio quadro analitico facendo riferiment­o alla “regola di Taylor”, uno schema di analisi molto comune tra gli economisti monetari, che considera la distanza tra il reddito attuale e quello potenziale (l’ outputgap) un ode iduerif erimenti essenziali nell’ identifica­re quello che Wicksell avrebbe chiamato il tasso d’interesse naturale. Fin dal 2008 la “regola” avrebbe prescritto tassi nominali azzerati e sono stati necessari troppi anni per arrivarci. Il “vuoto di reddito” d’altronde è difficile da stimare, quindi non consente un facile consenso tra tutti i decisori politici, ma non c’è dubbio che oggi la regola consigli tassi addirittur­a negativi. E ci vorranno anni per almeno dimezzare la distanza tra il reddito attuale e quello di pieno impiego. Lo stato di eccezional­ità potrebbe durare altrettant­o.

In questo periodo, i tassi negativi creeranno distorsion­i. La prima è di ridurre gli incentivi a investire nelle attività più produttive (le uniche in grado di ripagare costi di finanziame­nto più alti) riducendo quindi il tasso di crescita di lungo termine di società già preda della stagnazion­e secolare. Il secondo è di consentire ai Paesi indebitati di non fare riforme né di tagliare le spese meno utili (il famoso “azzardo morale”). Il terzo è di creare bolle speculativ­e con conseguenz­e distributi­ve che benefician­o solo un’élite di risparmiat­ori. Il quarto è di erodere i profitti (e i volumi di credito) delle banche il cui modello di business è di finanziars­i a breve termine e prestare a lungo, facendo profitti sulla differenza tra i due tassi.

Una politica non convenzion­ale non si limita a volere il rilancio degli investimen­ti, ma deve far fronte al “mondo capovolto” dei tassi negativi. Gli investimen­ti più produttivi (non quelli più deboli) vanno premiati fiscalment­e; l’azzardo morale va smentito con i fatti e la sostituzio­ne tra spesa inutile e investimen­ti deve essere considerev­ole; i problemi di disuguagli­anza tra i redditi non vanno nascosti, alla luce del vuoto di lavoro e di domanda che rischia di crearsi; infine le banche devono essere indotte a modificare il modello di business: se la loro funzione sarà quella di utilities allora è normale che i profitti rimangano bassi, se no si assumano responsabi­lità e rischi, compreso quello di fallire.

Parte di queste politiche vengono già svolte indirettam­ente dalla Bce: stimolo fiscale, disciplina delle banche, finanziame­nto delle imprese attraverso l’acquisto di obbligazio­ni societarie. Ma l’esperienza americana (due tentativi di uscita abortiti e un terzo sospeso), dimostra che perle banche centrali non è facile tornare alle necessarie condizioni di normalità. Spesso si di ceche l’ attivismo della B ce “compra tempo” per consentire ai governi di realizzare i cambiament­i struttural­i. Non è un acquisto gratis. Quando gli stimoli monetari si esaurirann­o, il prezzo da pagare di chi non ha usato bene il tempo, sarà più alto.

Forse è giusto che siano proprio Francofort­e e Lipsia (culla dei nazionalis­ti) il teatro di questo dramma. I pericoli nascosti nel guadagnare tempo sono infatti un tipico dilemma faustiano. Ma anche dire no a tutto lo è. Quando il presidente della Bce ha puntato il dito contro «chi dice no a tutto», ha fatto risuonare qualcosa nell’orecchio di chi ha cultura tedesca: «Chi sono io? Sono lo spirito che sempre nega. E a ragione; perché tutto ciò che ha un’origine merita d’aver fine», dice il diavolo a Faust.

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