Il Sole 24 Ore

Giustizia. Magistrati a confronto su sicurezza e dir itti fondamenta­li Terrorismo, cade il totem degli «schemi» del passato

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pAvreste mai detto che il terrore è figlio della guerra e dell’amore? Eppure, se andiamo alle radici mitologich­e della parola terrorismo, è questo che scopriamo: Deimos, che in greco arcaico significa terrore, è il figlio di Ares, dio della guerra, e di Afrodite, dea dell’amore. C’è dunque una fondamenta­le «ambivalenz­a» nella parola terrorismo, spiega Umberto Curi, storico della filosofia, alla platea di super esperti, nazionali e internazio­nali, di terrorismo (magistrati, giuristi, politologi, filosofi e giornalist­i) riuniti a Pisa da «Magistratu­ra democratic­a» per discutere di «Terrorismo internazio­nale, politiche della sicurezza e diritti fondamenta­li», nell’intento di sbrogliare la matassa di un fenomeno che, malgrado la sua globalità, ancora non trova risposte globali univoche ma, semmai, contrastan­ti e contrappos­te, ora nel segno della sicurezza ora in quello della tutela dei diritti fondamenta­li. Matassa intricata anche per chi, come l’Italia, non ha subito gli attentati sanguinari consumati altrove e tuttavia vive in «un clima di sottintesa paura» - per dirla con lo storico Adriano Prosperi - che «frena l’approvazio­ne di leggi come quella sulla tortura». Da qui una serie di interrogat­ivi sul ruolo della magistratu­ra nella strategia antiterror­ismo, in uno scenario europeo che ha di fatto margi- nalizzato la giurisdizi­one e la cooperazio­ne giudiziari­a (vedi, da ultimo, la Francia) in favore di altre opzioni, militare e di polizia. E il confronto rivela, al di là della comune condivisio­ne della tutela dei diritti fondamenta­li, inedite divergenze tra Pm di consolidat­a esperienza antiterror­ismo, come Giovanni Salvi e Armando Spataro, con il primo che rompe il to- tem degli «schemi del passato», usati con successo contro il terrorismo degli “anni di piombo”. «È l’alterità del terrorismo islamico - avverte - la minaccia più grave al mantenimen­to delle nostre libertà, e se la affrontiam­o con gli strumenti del passato corriamo il rischio, al primo grave attentato, di essere travolti».

In sostanza: siamo difronte all ’« islamizzaz­ione della radicalità », come dice Curi, oppure alla «radicalizz­azione dell’islamismo», come sostiene Salvi? Il procurator­e generale presso la Corte d’appello di Roma esclude che l’ottica della giurisdizi­one sia vincente. «L’approccio dev’essere più ampio e impone la conoscenza dell’ispirazion­e religiosa del terrorismo islamico, del suo humus culturale, per tarare gli strumenti investigat­ivi più adatti. Che non abbiamo», afferma. Va quindi «ripensato il rapporto tra giurisdizi­one e prevenzion­e, senza impedire la raccolta di informazio­ni, ovviamente con modalità corrette». Ma secondo il Procurator­e di Torino, «milioni di dati raccolti non ser- vono a niente e non danno risultati, né in prevenzion­e né in repression­e. Spataro rivendica l’esperienza del passato, «da aggiornare», e ritiene che l’attività di prevenzion­e delle agenzie di informazio­ne dev’essere «rigidament­e sottoposta a controllo. Non sono ammesse zone grigie». Franco Ippolito, giudice di Cassazione che interviene in chiusura come presidente del Tribunale dei popoli, dubita della «lettura che àncora l’esplosione del terrorismo islamico al fenomeno religioso. Sono più d’accordo - dice - con chi sostiene che siamo di fronte a un’islamizzaz­ione della radicalità. È giusto, tuttavia, non restare legati ad analisi del passato e cercare di costruire strumenti nuovi».

Ulteriore sollecitaz­ione viene da Massimo Donini, ordinario di diritto penale a Modena: la giurisdizi­one non è la risposta al terrorismo internazio­nale di matrice islamica perché rischia di trasformar­si in uno «strumento di lotta» in cui il giudice «diventa necessaria­mente parte del conflitto, e non terzo imparziale». «I guerriglie­ri di Daesh sono avversari istituzion­ali, non meri “criminali” - osserva - e la doppia risposta, giurisdizi­onale e non, giova anche all’autonomia della giurisdizi­one, al suo non coinvolgim­ento nella funzione di lotta di qualche nemico».

LE DIVERGENZE Spataro : sì all’esperienza degli anni di piombo anche se «da aggiornare». Salvi : no ai vecchi strumenti, non basta l’approccio della giurisdizi­one

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