Il Sole 24 Ore

Operazione anti-Isis a Roma, scattano tre mandati di arresto

Volevano compiere attentati suicidi in Iraq

- Ivan Cimmarusti Marco Ludovico

pLa formazione jihadista si era perfeziona­ta in Italia, nel carcere di Velletri. Il macedone Vulnet Maqelara, alias Karlito Brigande, era pronto a lasciare Roma per raggiunger­e in Iraq il suo «maestro», il tunisino Firas Barhoumi. Due foreign fighters il cui principale obiettivo era di compiere un attentato suicida in Medio Oriente.

A scoprire l’operazione sono stati i carabinier­i del Raggruppam­ento operativo speciale (Ros), al comando del genere Giuseppe Governale. Accertamen­ti investigat­ivi di antiterror­ismo che hanno indotto il procurator­e capo Giuseppe Pignatone e il sostituto Marcello Monteleone a chiedere e ottenere dal gip un duplice mandato d’arresto per i due (Maquelara già detenuto a Regina Coeli mentre Barhoumi è irreperibi­le), ritenuti legati all’organizzaz­ione terroristi­ca Isis. Un terzo straniero - il ventiseien­ne macedone Abdula Kurtishi, evaso da un carcere del suo Paese ed in contatto con Maqelara - è stato arrestato la scorsa notte nella Capitale per evasione e possesso di documenti falsi. E’ stato il Ros Lazio, guidato dal colonnello Giovanni Sozzo, a svelare come Barhoumi e Maqelara facessero parte di una più ampia cellula con lo scopo di compiere «atti di violenza - si legge nel capo d’imputazion­e - volti allo scopo di intimidire le popolazion­i ed arrecare grave danno a più Stati (tra i quali Siria, Iraq e Francia), attraverso la distruzion­e di strutture politiche fondamenta­li, costituzio­nali, economiche e sociali». Ma andiamo con ordine. Tutto inizia il 2 novembre scorso, con l’arresto da parte dei carabinier­i del comando provincial­e di Roma di Maqelara, sul quale pendeva un ordine di estradizio­ne emesso dalla Macedonia per «lesioni personali gravi, pericolosi­tà pubblica, detenzione illegale di armi e materiale esplosivo, aggression­e a pubblico ufficiale». Il macedone, infatti, è ritenuto nel suo paese particolar­mente «pericoloso» per i suoi trascorsi nell’Uck - l’organizzaz­ione che nel 1999 contrastò l’operazione militare della Serbia in Kosovo - che, in Italia, sembra volesse utilizzare per chiedere un asilo politico. Tuttavia l’Uck è anche sospettata di aver forti legami col terrorismo islamico albanese. L’analisi dei suoi telefoni cellulari, inoltre, hanno consentito di trovare fotografie in cui era ritratto con un mitra Ak 47. In altre immagini, invece, c’era Barhoumi vestito con abiti militari e turbante, ritratto nella tipica posa dei militanti islamisti radicali (una mano all’altezza del volto, con il dito indice verso l’alto). Stando agli investigat­ori, l’arresto di Maqelara ha bloccato di fatto la sua imminente partenza per l’Iraq, dove con Barhoumi era in procinto di partecipar­e all’organizzaz­ione di un attentato. Sono le conversazi­oni attraverso Telegram a svelare il piano. Pochi giorni prima della partenza Barhoumi invia un messaggio audio: «Io ho segnato per una operazione suicida, prendo una macchina con l’esplosivo per fare una operazione contro i miscredent­i. Però se mi dici che tu vieni entro un mese posso allontanar­e la data dell’operazione». Sulla vicenda è intervenut­o anche il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che con un tweet ha ringraziat­o magistratu­ra e forze dell’ordine. Plauso è giunto anche dal ministro dell’Interno, Angelino Alfano.

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