Open data, mappe e app aiutano i migranti e le ong
Comunità tech, Nazioni Un ite e designer lanciano soluzioni per migliorare i “viaggi” dei profughi e gestire le crisi umanitarie
Solo quando il migrante ha attraversato il confine o raggiunta la meta, dal suo cellulare parte un messaggio con Qr Code o con una semplice password. Che raggiunge una terza parte autorizzata quindi a rilasciare al trafficante i soldi stabiliti per il viaggio. Un sistema adottato dai trafficanti - e verificato Global Initiative against Transnational Organized Crime - che si sta diffondendo sempre più sulle grandi rotte, soprattutto in uscita dalla Siria. Questa crisi umanitaria svela - senza precedenti - il ruolo delle tecnologie, dei social network, degli open data e delle mappe a supporto dei flussi migratori verso un’Europa sempre più inaccessibile.
Refugee Aid App è stata ideata nell’ottobre scorso a Londra a seguito della grande hackaton, che ha chiamato a raccolta esperti di informatica, attivisti per i diritti umani e volontari. RefAid sostiene i bisogni primari di chi è in fuga da guerre e persecuzione. La geo-localizzazione consente di avere a disposizione una mappatura dei servizi base più vicini - nel raggio di 70 chilometri - a cui poter accedere, per esempio assistenza medica e legale, pasti e alloggi. L’app è stata rilasciata un mese fa in Italia e Gran Bretagna. « Stiamo lavorando anche sulla Grecia, i Balcani e la Germania » spiega Shelley Taylor, una carriera nella Silicon Valley e ora a Londra alla guida di Trellyz. L’app è popolata grazie a una serie di organizzazioni umanitarie che possono accedere alla piattaforma di backend e aggiornare le informazioni dei servizi, studiare meglio i bisogni degli utenti e mandare notifiche push. In Italia hanno aderito sinora Croce Rossa, Save the Children, Arci, Centro Astalli, Cir, le Caritas locali. In questi giorni la società sta lavorando al lancio tra i beneficiari, gli immigrati. «Grazie anche a giovani volontari siriani stiamo promuovendo l’app usando i gruppi di Facebook e Whatsapp - spiega Taylor - che per ora restano gli strumenti ancora più utilizzati da parte di chi si mette in viaggio » .
Va oltre Carterro For Refugees. Nata da una società texana per la gestione della comunicazione, l’app è stata adattata alla crisi umanitaria ed è pensata anche per le ong. Da ottobre offre informazioni per i rifugiati in viaggio, informandoli sui servizi a loro disposizione lungo la strada. Gli utenti possono creare post o pubblicare foto e video per mostrare cosa sta succedendo in un’area. Possono aprire un canale privato e restare in contatto con i loro familiari o altre persone per avere informazioni aggiornate. Ha una versione anche in arabo e ad ottobre aveva raggiunto i 200mila download in Medio Oriente. Le ong possono inserire i propri servizi, comunicare con cooperanti e volontari, aggiungere contenuti fotografici e video. Molto simile Kricket, che ha però la particolarità di essere una mappa dinamica nel tempo (dopo 24 ore i post geolocalizzati scompaiono, se non viene dato seguito alla conversazione) e i contenuti messi dai rifugiati sono anonimi. Quando il servizio sarà a pieno regime, verrà proposto ai migranti di diventare “reporter”, potranno cioè vendere online le proprie foto e i video.
A ottobre si è buttato nell’impresa anche Google assieme a I nternational Rescue Committee and Mercy Corps. Hanno sviluppato Crisis Info Hub, un sito accessibile anche da mobile app, progettato con un design che consente di consumare poca batteria dello smartphone. Partito da Lesbo, ora il servizio è attivo in molti dei paesi attraversati dai migranti e offre informazioni sul primo soccorso e i servizi di base.
Per gli operatori umanitari uno degli ambiti più proficui per raccogliere informazioni preziose è l’ open data. The Humanitarian Data Exchange (Hdx) è una piattaforma aperta per la condivisione dei dati, utile alle ong, ai governi, alle università. « In caso di emergenze molte ong passano i primi giorni sul campo a radunare dati spesso già disponibili ma non sempre condivisi. Per esempio il numero degli ospedali o delle organizzazioni attive sul territorio» spiega Fabio Sergio, global head di frog Impact, il dipartimento che si occupa di innovazione sociale in Frog, che ha disegnato la piattaforma dopo un lavoro di ricerca in Colombia e Kenya per studiare i bisogni sul campo.