Il rock infrange l’ortodossia
Ora è stato riabilitato, ma Ivan Fariñas è stato a lungo un «deviato»: El Roquero de Cuba in un’isola dove dominano altri suoni
La riabilitazione definitiva è avvenuta quando la televisione di stato lo ha chiamato «Il Fondatore del rock cubano». Era accaduto prima che Washington e L’Avana ristabilissero le relazioni diplomatiche. Ma il cambiamento era già nell’aria, anche se Ivan Fariñas quel legame istintivo e umano fra yanqui e cubani non lo aveva mai interrotto, coltivandolo per 59 dei suoi 66 anni di vita con la sua musica. Anche quando il regime lo considerava un “deviato”.
Ivan non è un dissidente. «Non mi sono mai occupatodi politica, anche se lei si è sempre occupata di me: ero controllato come qui accade a chiunque svolga un’attività creativa». Ma non è mai stato arrestato: più che perseguitarlo, il regime ne ha ignorato l’attività per decenni. La sua devianza da un’ortodossia più musicale che politica nell’isola della rivoluzione castrista, consiste nell’essere “El Roquero de Cuba”.
« Io sono l’essenza, io sono il mito del rock cubano», come dice lui. Sfortunatamente, nella patria di salsa, rumba, bolero, jazz e jazz afro- cubano, mambo e danzòn. È questo il delitto di presunzione di Ivan Fariñas. « Se Cuba fosse stata fondamentale a livello politico, letterario e storico, ma le fosse mancata la musica, il Paese sarebbe stato un altro: sicuramente meno felice di quanto lo sia stato grazie alla sua capacità di trasformare in ritmo qualunque suono » , avevano scritto alcuni anni fa Leonardo Padura Fuentes e Alex Fleites. È quello che ha fatto Ivan, anche se il suo suono non appartiene a ciò che ha reso straordinaria Cuba ma gli Stati Uniti.
Ci eravamo già incontrati dieci anni fa all’Avana e qualche tempo prima Ivan aveva pubblicato il suo primo e ancora oggi unico disco. Grazie ad Abel Prieto, allora tollerante ministro della Cultura che aveva fatto costruire un monumento dedicato a John Lennon, si era potuto iscrivere all’Unione scrittori e artisti cubani. Al suo arrivo nella lobby dell’hotel Habana Libre, nessuno si era girato a guardarlo né si era avvicinato per un autografo. Stesso luogo dieci anni dopo, uguale reazione popolare. El roquero de Cuba è invecchiato, assomiglia vagamente a Neil Young, porta lo stesso codino di allora ma resta l’eroe solitario e sconosciuto ai più, di una battaglia all’apparenza minore: l’affermazione del rock nell’isola di altre musiche.
«Il Rock cubano – spiega Ivan – è come quello italiano, un rock di frontiera che si è dovuto far strada fra le principali tradizioni musicali: è un’anti-cultura. È per questo che sogno di essere invitato almeno una volta a suonare in Italia». Ivan non è mai stato all’estero, il posto più lontano dall’Avana dove ha potuto portare la sua band, Viento Solar, è l’Isola della Gioventù. Ma la Enciclopedia Libre Universal ha dedicato un breve capitolo a lui e al suo gruppo, spiegando che diversamente dalla manifestazione cosmica che provoca le tempeste magnetiche («para el fenòmeno astronòmico véase: viento solar»), la band e il suo fondatore sono «parte del patrimonio culturale della repubblica cubana».
«Ora grazie a Obama è tutto più aperto: c’è più tolleranza verso il rock», è convinto Ivan. Molte cose stanno cambiando a Cuba. L’Avana è piena di locali, di alberghi, di turisti che modificano fino a banalizzare lo straordinario mondo che prima era per pochi. I turisti arrivano in torpedone agli spettacoli ormai industriali per frequenza e qualità, di Buena Vista Social Club. Ma a causa dell’internazionale islamica del terrore che minaccia il bacino del Mediterraneo, le capitali europee e gli Stati Uniti, l’Avana è una delle mete turistiche più sicure al mondo. Anche perché la polizia presidia come sempre ogni strada.
A dispetto dello storico disgelo, era dagli anni Novanta che non si vedevano così tanti cubani prendere la strada degli Stati Uniti, via mare e via terra: a decine di migliaia nel 2015. La ragione è il timore che gli americani vogliano modificare il Cuban Adjustment Act che dal 1966 garantisce il diritto automatico di asilo e la cittadinanza entro pochi anni a qualsiasi esule cubano che metta piede in America. Ma non è in corso una grande fuga: non senza qualche scetticismo, ci sono aspettative per un futuro migliore del presente. Sotto la pressione popolare, all’inizio dell’anno scorso il governo aveva creato 35 centri wireless dove si va online per 2 dollari l’ora. Ma non ha fatto altro, temendo un’apertura troppo repentina: è stata ignorata la stessa offerta che Google aveva fatto all’Uganda, garantendo piena connettività in pochi mesi.
L’approccio più ricorrente agli stranieri soli non è più – non più così frequente – l’offerta di una compagnia femminile o maschile, ma domande su cosa pensano di Cuba dal punto di vista politico: sentono il bisogno di spiegare che per loro non è tempo di ribaltamento ma di “riforme”. Così gli interlocutori più politicizzati, gli esperti, i professionisti, quelli che in un regime riformato sarebbero classe media: l’abito della rivoluzione cubana sta stretto ma continua a essere portato con dignità. Come se 55 anni di regime ininterrottamente guidato dai Castro siano serviti alla dignità del Paese.
Tutta la famiglia di Ivan Flavio Fariñas de Armas (è il suo nome completo) è emigrata negli Stati Uniti. Lui è rimasto perché la moglie è malata e perché «in una società chiusa come questa sono riuscito a far passare il rock. Io sono quello che sono e devo continuare a esserlo, anche se ho 66 anni». La sua ultima canzone Amo la vida, un pop che in qualche modo smentisce una carriera dedicata all’ortodossia rock, è per certi versi parte del grande disgelo cubano. In realtà nella loro lunga attività Ivan e Viento Solar hanno anche suonato heavy- trash metal, punk, rap, rockabilly. Ma è lui stesso a precisare che radice e cuore della sua musica è “el roque habanero”, il rock di strada. «A Sud del Rio Bravo si è sempre tentato di manipolare il rock americano. Io no, io non ho mai scritto né arrangiato la musica degli altri ma solo rock cubano. Dopo tutto, non credo di essere molto peggio di Mick Jagger».