Anatomia dell’errore
Le autobiografie di medici e di chirurghi sono, di regola, il narcisismo di eroi intrepidi e vittoriosi, trascinati da vocazioni incoercibili alla lotta col drago. Si tratta di brave persone che hanno fatto il mestiere con serietà e che cedono all’innocente l usinga dell’autocelebrazione. Niente di male, tranne l’indecenza di un neurochirurgo italiano, che, per dimostrare il prestigio di cui godeva, nell’apoteosi autobiografica uscita recentemente, ha pubblicato in dettaglio, e con dati anagrafici, la storia clinica e le operazioni di alcuni suoi pa- zienti famosi.Non è un caso che nessuno dei grandi chirurghi e sommi neurochirurghi, che nel secolo scorso hanno ideato, creato e fondato la chirurgia moderna, con strabilianti progressi tecnici e biologici, abbia sentito la necessità di raccontare la sua vita. Essa è testimoniata a sufficienza dalle operazioni fatte e ideate, dagli strumenti sviluppati, dagli scritti, dai pazienti, dagli allievi.
L’autobiografia di Henry Marsh, neurochirurgo di notevole prestigio del St. Georges Hospital nel Sud di Londra, è un’eccezione. Non è la storia di trionfi ma, come ha scritto Joushuda Rothman nel The New Yorker (18 maggio 2015), un’anatomia dell’errore. Ripercorrendo la la vita professionale, Marsh, senza nascondere la soddisfa- zione - che può essere immensa - di operazioni riuscite, si sofferma prevalentemente sulle delusioni, le sofferenze, le tragedie, gl’incubi, i dubbi angosciosi del neurochirurgo. Egli deve imparare a dominare periodi di profonda disperazione per la vita di chi in lui cerca aiuto. Lo smarrimento che si prova al fallimento di un’operazione in cui tutto sembrava riuscito al meglio, una delle prove della fragilità del cervello, è un’umiliazione indescrivibile. Spesso paziente e familiari arrivano in ospedale con lo spavento e la disperazione di una diagnosi grave. In quella condizione si trovò anche Marsh, quando il figlio di tre mesi dovette essere operato d’urgenza per un tumore al cervello.
Pagine molto meditate e frutto di dolorose esperienze si riferiscono alle indicazioni di operazioni in condizioni disperate, quando la sopravvivenza sarebbe il risultato peggiore. È compito ingrato, e inevitabile, del medico spiegare con serenità perché sarebbe meglio fermarsi. La decisione definitiva spetta al paziente, se ancora può prenderla, o ai familiari.
Con storie cliniche e descrizioni di operazioni, tal-volta con eccesso di particolari tecnici, Marsh, con notevole talento narrativo di stile inglese, descrive diverse malattie del cervello, la neurochirurgia che le cura e la vita, non sempre felice ma ciononostante immensamente gratificante, di chi la pratica. Marsh ha lavorato a lungo, come insegnante e chirurgo volontario, nell’Ucrania indipendente. Ogni operazione aveva più incognite e rischi del solito per l’arretratezza delle strutture. Chi si è trovato in situazioni analoghe conosce l’incubo e la stizza che si provano.
Il premier David Cameron ha dichiarato d’aver pianto alla lettura di una storia clinica del libro. Ciononostante Marsh, nel Mail on Sunday del 18 gennaio scorso, l’ha violentemente accusato di una rivoluzione caotica permanente e demoralizzante del sistema medico nazionale, per l’ostinazione immo- rale del risparmio a costo di ammalati anche in pericolo di vita. Ogni mattina che va in ospedale, racconta, non sa se potrà fare qualcosa con i pazienti, perché mancano letti e sale operatorie e molte urgenze vengono sballottate da un ospedale all’altro in un tragico turismo dell’affanno.
Non c’è nulla di più odioso, scrive, di dover cancellare all’ultimo momento per mancanza di letti un’operazione prevista da tempo. Per il chirurgo è irritante, per il paziente è orribile. L’amara e appassionata testimonianza di Marsh, che sembra a volte aver perso ogni speranza, viene da chi si assume l’immensa responsabilità di praticare una chirurgia difficile e complicata in condizioni non ideali, perl’ irresp on sabns abilità dei politici.
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