Che marmi nei resort della Roma antica!
Un paio di millenni fa i patrizi romani se la cavavano bene quanto a villeggiatura. La loro passione per le ville al mare è risaputa, e le tasse sulle seconde case non erano ancora entrate in voga. Sulla costa dei Campi Flegrei le residenze di lusso si diffusero al tempo in cui lo stato romano si stava trasformando in impero. Un paio di secoli dopo, però, il ben noto fenomeno del bradisismo cominciò molto lentamente a farle sprofondare.
Nelle acque di Baia, ora nell’area metropolitana di Napoli, a cinque-sei metri di profondità giacciono resti di grande valore, compresi i n un parco archeologico sommerso. A scoprirli fu sessant’anni fa Raimondo Bucher, pilota da caccia e pioniere delle immersioni subacquee, mentre passava in volo col suo monoposto P51. Ora un gruppo di ricerca delle università della Calabria, di Catania e di Madrid, coordinato da Michela Ricca, ha preso in esame, all’interno della villa detta con ingresso a pròtiro (dal greco pro, davanti, e thyra, porta), i marmi delle ricche decorazioni a mosaico sui pavimenti e quelli delle lastre che ricoprono i muri.
Per usare un termine oggi molto di moda, Baia era uno dei resort più ambiti ed esclusivi dell’aristocrazia e della famiglia imperiale, e accoppiava lo splendore del mare con la possibilità di beneficiare delle acque termali. La villa suddetta dà su una strada lastricata, che si snoda tra magazzini, tabernae (cioè botteghe artigiane, negozi, bar) e appunto terme. I ricercatori hanno analizzato cinquanta campioni di marmo bianco, nell’intento di stabilire a quali cave avevano potuto far ricorso gli architetti.
I mercanti che rifornivano i ricchi dell’epoca non avevano difficoltà ad approvvigionarsi nei bacini marmiferi più rinomati che circondavano il Mediterraneo, anche pagando il trasporto a grandi distanze: oltre che dall’Italia, da Grecia, Turchia e Spagna. Ricostruire i movimenti commerciali può ovviamente aggiungere non poco alle conoscenze storiche; magari, in avvenire, conoscere in dettaglio il tipo di materiale potrà fornire basi per il restauro. Il marmo è tuttavia un materiale difficile per gli studi archeometrici rivolti a stabilirne la provenienza. La cosiddetta tessitura, per esempio, cioè l’insieme delle caratteristiche microscopiche di tipo geometrico, può variare anche fra partite estratte nello stesso territorio. Oppure può verificarsi la situazione opposta, di marmi dall’apparenza simile, ma d’origine diversa.
Nel caso dei marmi di Baia, sommersi da tanto tempo, a complicare la faccenda ci si sono ovviamente messi organismi marini vegetali e animali, con le loro incrostazioni, perforazioni e altre attività capaci di provocare degrado. Le indagini di laboratorio sono state possibili su minuscole aree inalterate, rintracciabili solo in campioni che non fossero troppo piccini. Dalle rovine i subacquei hanno dovuto staccare scaglie d’uno o due centimetri di lato, spesse un po’ meno d’un centimetro.
Tramite la diffrazione dei raggi X da parte delle polveri, sono stati individuati alcuni minerali accessori rispetto a quello principale, la calcite, che è carbonato di calcio: in particolare un altro carbonato, la dolomite, che oltre al calcio contiene anche magnesio. Con la spettrometria di massa sono state invece determinate le percentuali degl’isotopi del carbonio e dell’ossigeno, costituenti gli ioni carbonato. Esse dipendono dalla storia geologica della roccia, che può aver subito trasformazioni dovute a condizioni molto diverse da una regione geografica all’altra. Un’altra tecnica analitica strumentale è stata poi applicata per stabilire il contenuto di manganese, presente in parti per milione.
I risultati non sono stati abbastanza chiari, perché praticamente tutti i campioni avevano caratteristiche riconducibili a più d’una zona marmifera. Col microscopio elettronico a scansione lo studio s’è concentrato allora su altri minerali accessori: l’apatite (un fosfato), il quarzo, alcuni ossidi di ferro o di titanio, alcuni solfuri di ferro e alcune miche.
L’insieme dei dati ottenuti ha permesso di restringere le possibilità per i singoli campioni, dimostrando che i costruttori impiegarono marmi di provenienza disparata: le cave di Carrara, ma anche quelle di Docimio e Afrodisia in Turchia, delle isole greche di Thaso e di Paro, dell’isola di Proconneso nel Mar di Marmara e del Monte Pentelico presso Atene. A quanto pare, la globalizzazione ha radici lontane.