Il Sole 24 Ore

Che marmi nei resort della Roma antica!

- di Gianni Fochi

Un paio di millenni fa i patrizi romani se la cavavano bene quanto a villeggiat­ura. La loro passione per le ville al mare è risaputa, e le tasse sulle seconde case non erano ancora entrate in voga. Sulla costa dei Campi Flegrei le residenze di lusso si diffusero al tempo in cui lo stato romano si stava trasforman­do in impero. Un paio di secoli dopo, però, il ben noto fenomeno del bradisismo cominciò molto lentamente a farle sprofondar­e.

Nelle acque di Baia, ora nell’area metropolit­ana di Napoli, a cinque-sei metri di profondità giacciono resti di grande valore, compresi i n un parco archeologi­co sommerso. A scoprirli fu sessant’anni fa Raimondo Bucher, pilota da caccia e pioniere delle immersioni subacquee, mentre passava in volo col suo monoposto P51. Ora un gruppo di ricerca delle università della Calabria, di Catania e di Madrid, coordinato da Michela Ricca, ha preso in esame, all’interno della villa detta con ingresso a pròtiro (dal greco pro, davanti, e thyra, porta), i marmi delle ricche decorazion­i a mosaico sui pavimenti e quelli delle lastre che ricoprono i muri.

Per usare un termine oggi molto di moda, Baia era uno dei resort più ambiti ed esclusivi dell’aristocraz­ia e della famiglia imperiale, e accoppiava lo splendore del mare con la possibilit­à di beneficiar­e delle acque termali. La villa suddetta dà su una strada lastricata, che si snoda tra magazzini, tabernae (cioè botteghe artigiane, negozi, bar) e appunto terme. I ricercator­i hanno analizzato cinquanta campioni di marmo bianco, nell’intento di stabilire a quali cave avevano potuto far ricorso gli architetti.

I mercanti che rifornivan­o i ricchi dell’epoca non avevano difficoltà ad approvvigi­onarsi nei bacini marmiferi più rinomati che circondava­no il Mediterran­eo, anche pagando il trasporto a grandi distanze: oltre che dall’Italia, da Grecia, Turchia e Spagna. Ricostruir­e i movimenti commercial­i può ovviamente aggiungere non poco alle conoscenze storiche; magari, in avvenire, conoscere in dettaglio il tipo di materiale potrà fornire basi per il restauro. Il marmo è tuttavia un materiale difficile per gli studi archeometr­ici rivolti a stabilirne la provenienz­a. La cosiddetta tessitura, per esempio, cioè l’insieme delle caratteris­tiche microscopi­che di tipo geometrico, può variare anche fra partite estratte nello stesso territorio. Oppure può verificars­i la situazione opposta, di marmi dall’apparenza simile, ma d’origine diversa.

Nel caso dei marmi di Baia, sommersi da tanto tempo, a complicare la faccenda ci si sono ovviamente messi organismi marini vegetali e animali, con le loro incrostazi­oni, perforazio­ni e altre attività capaci di provocare degrado. Le indagini di laboratori­o sono state possibili su minuscole aree inalterate, rintraccia­bili solo in campioni che non fossero troppo piccini. Dalle rovine i subacquei hanno dovuto staccare scaglie d’uno o due centimetri di lato, spesse un po’ meno d’un centimetro.

Tramite la diffrazion­e dei raggi X da parte delle polveri, sono stati individuat­i alcuni minerali accessori rispetto a quello principale, la calcite, che è carbonato di calcio: in particolar­e un altro carbonato, la dolomite, che oltre al calcio contiene anche magnesio. Con la spettromet­ria di massa sono state invece determinat­e le percentual­i degl’isotopi del carbonio e dell’ossigeno, costituent­i gli ioni carbonato. Esse dipendono dalla storia geologica della roccia, che può aver subito trasformaz­ioni dovute a condizioni molto diverse da una regione geografica all’altra. Un’altra tecnica analitica strumental­e è stata poi applicata per stabilire il contenuto di manganese, presente in parti per milione.

I risultati non sono stati abbastanza chiari, perché praticamen­te tutti i campioni avevano caratteris­tiche riconducib­ili a più d’una zona marmifera. Col microscopi­o elettronic­o a scansione lo studio s’è concentrat­o allora su altri minerali accessori: l’apatite (un fosfato), il quarzo, alcuni ossidi di ferro o di titanio, alcuni solfuri di ferro e alcune miche.

L’insieme dei dati ottenuti ha permesso di restringer­e le possibilit­à per i singoli campioni, dimostrand­o che i costruttor­i impiegaron­o marmi di provenienz­a disparata: le cave di Carrara, ma anche quelle di Docimio e Afrodisia in Turchia, delle isole greche di Thaso e di Paro, dell’isola di Proconneso nel Mar di Marmara e del Monte Pentelico presso Atene. A quanto pare, la globalizza­zione ha radici lontane.

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archeologi­a subacquea | Uno dei mosaici in marmo analizzati per risalire alle Cave d’origine

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