Il Sole 24 Ore

La morale? È animale

- di Martino Menghi

Era il 1992 quando Richard Sorabji pubblicava il suo bellissimo saggio Animal Minds and Human Morals (Cornell University Press), sostenendo che una ricostruzi­one del dibattito antico e medievale su come e dove tracciare una linea di demarcazio­ne tra mondo umano e mondo animale avrebbe aperto nuovi, importanti orizzonti di riflession­e. In effetti, questioni come il vegetarian­ismo, la sperimenta­zione medica sugli animali, o i costi e i benefici della conservazi­one delle specie trovano tuttora uno spazio piuttosto limitato nel dibattito etico contempora­neo.

Ripartiamo allora dalla lezione degli antichi. Platone, con la scoperta di un’anima le cui parti (razionale, emotiva, desiderant­e) erano in conflitto tra loro aveva assegnato alla ragione un ruolo di tale importanza rispetto alle altre due dimensioni psichiche da dare l’impression­e di voler approfondi­re il divario tra l’uomo e il resto degli esseri animati. D’altra parte, sono proprio i suoi frequenti riferiment­i alla teoria della trasmigraz­ione delle anime in altre specie di viventi che finiscono col ridurre questo scarto e rappresent­are un ponte tra l’essere umano e quello animale. Aristotele è noto per aver attribuito il logos, la ragione, unicamente all’uomo, e in particolar­e al maschio greco adulto e libero (donne, bambini e schiavi ne partecipan­o in modo via via decrescent­e); tuttavia, nell’insieme la sua teoria psicologic­a attribuisc­e al potere della percezione ( aisthesis), propria anche degli animali, un ruolo assai maggiore rispetto a Platone.

Ma qui entriamo già nell’ambito del recentissi­mo contributo di Jean-François Lhermitte che con L’animal vertueux dans la philosophi­e antique à l’époque impériale prosegue la ricerca di Sorabji. Anche per lui «il dibattito contempora­neo sul nostro rapporto col mondo animale dipende grandement­e dalle posizioni filosofich­e ereditate dagli antichi» . La scelta poi di focalizzar­e la sua ricerca sul periodo imperiale è dovuta al fatto che proprio in quest’epoca tali posizioni si sono cristalliz­zate secondo due linee di pensiero: quanti negano l’intelligen­za animale e quanti invece la sostengono. Al primo partito appartengo­no gli Stoici, per i quali l’anima è solo ragione, frammento di quel Logos universale e provvidenz­iale che regge il mondo. Tale prerogativ­a o privilegio, naturalmen­te, riguarda l’uomo, mentre agli animali è riconosciu­ta solo la dimensione sensitiva. Una posizione ereditata in età moderna da Cartesio, che confinava il mondo animale nell’ambito della res extensa e delle sue leggi meccanicis­tiche. Al polo opposto abbiamo invece i partigiani dell’intelligen­za animale: il poligrafo Plutarco (I-II sec. d.C.) e lo storico e filosofo Eliano (II-III sec. d.C.), un raffinato intellettu­ale autore di una Storia degli animali, che illustra le abitudini di molti di questi esseri viventi in funzione di un discorso etico. Sullo sfondo, come punto di riferiment­o per entrambi gli schieramen­ti, la grande lezione di Aristotele, l’autore più citato dopo Eliano.

Lhermitte comincia col porre al lettore alcuni quesiti di base: come si sviluppano le facoltà mentali? Sono esse innate o acquisite, e quali sono le loro funzioni sociali? O ancora, gli animali hanno una loro giustizia e una loro organizzaz­ione sociale? Infine, di quali valori morali sono portatori? Le risposte, non definitive, sembrano essere quelle fornite dalla moderna etologia cognitiva, che propugna una visione del mondo animale libera da ogni pregiudizi­ale antropocen­trica. Nella prima parte del libro la questione fondamenta­le è se gli animali aspirino o meno alla virtù morale. Gli Stoici sostenevan­o che essi sono dotati solamente del senso dell’autoconser­vazione, non del bene morale. Il problema però si complica se consideria­mo l’ «intenziona­lità» del movimento: in altre parole, è possibile che la motivazion­e interiore sia «moralmente» orientata indipenden­temente dalla capacità di ragionare e di dare l’assenso al proprio movimento? Per Eliano (e per l’etologia moderna) sì. Quanto alle emozioni, se Aristotele e gli Stoici separavano i sentimenti dalla virtù morale, Eliano invece unifica emozioni, natura e senso morale in un unico trinomio applicabil­e anche al mondo animale. La seconda parte dell’opera affronta il problema delle comunità di tutti gli esseri viventi e della giustizia. Quest’ultima non si fonda solo, come per gli uomini, sul contratto sociale, ma anche sulla legge naturale che gli animali seguono scrupolosa­mente facendo propri valori quali la temperanza e l’amore per la loro prole.

Insomma, se Aristotele riconoscev­a un senso sociale a tutti i viventi, poiché si limitava ad affermare che l’uomo è il più «politico» (ossia il più «sociale») degli esseri animati, questo studio raccoglie la sfida e ci mostra il senso morale, le virtù e le regole delle comunità del mondo animale, con cui è bene continuare a confrontar­ci.

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