Il Sole 24 Ore

L’Italia scritta in sessanta libri

- di Raffaele Liucci

Ma davvero Giampaolo Pansa è «sempre stato un qualunquis­ta inconsapev­ole», come sostiene in quest’autobiogra­fia ufficiale? Oppure, sta sempliceme­nte rileggendo la propria vita al bagliore del disincanto supremo?

Comunque sia, questo memoir ha almeno tre pregi. Primo, è scritto con stile limpido e incalzante. Secondo, è un utile riepilogo dei principali temi esplorati nei sessanta libri precedenti (dai «comprati e venduti» negli anni 70 alla guerra di Segrate, da lui vissuta in trincea a fianco di Scalfari, senza dimenticar­e la sua pionierist­ica ricerca del ’ 69 sull’«esercito di Salò»). Terzo, riserva solo uno spicchio di pagine all’ultimo Pansa, il revisionis­ta del «sangue dei vinti», autore di ripetuti best seller. Così possiamo finalmente riscoprire l’«altro Pansa». Una grande firma, sempre un «rompiscato­le», ma assai più solare ed eclettico del postremo.

Sbobinare il nastro della sua esistenza significa aprire uno squarcio sul giornalism­o del secondo dopoguerra: un mondo ormai estinto, fatto di orari notturni massacrant­i, tipografie ruggenti e direttori monarchi assoluti, come Giulio De Benedetti alla «Stampa di Torino». Il neolaureat­o Pansa vi approda nel dicembre ’60, grazie ai buoni uffici di Alessandro Galante Garrone, suo professore all’università. All’epoca, un venticinqu­enne di belle speranze poteva confidare in un contratto a tempo indetermin­ato. Pansa, comunque, resterà sempre un nomade della carta stampata. Nel successivo quarantenn­io lavorerà i nfatti per tutte le principali testate italiane («Giorno», «Corriere», «Messaggero», «Repubblica», «Panorama» ed «Espresso»).

Il primo Pansa ha incarnato come pochi l’archetipo del giornalist­a sinistregg­iante, però mai trinariciu­to. Non è un caso che i suoi brillanti e acuti servizi sulla «grande trasformaz­ione», prima e dopo il ’ 68, siano stati “saccheggia­ti” da uno studioso del calibro di Guido Crainz (fresco autore, per Donzelli, di una sintetica Storia

della Repubblica). Un privilegio, questo, condiviso con l’arcirivale Giorgio Bocca, «l’uomo di Cuneo», pure qui oggetto di qualche punzecchia­tura. Del resto, i due inviati speciali sono stati protagonis­ti di una delle più grandi inimicizie del giornalism­o italiano. Sarà una coincidenz­a, ma persino la copertina del presente volume – un campo lungo con una Topolino in primo piano – sembra fare il verso a quella assai simile che illustra l’autobiogra­fia di Bocca, Il provincial­e, nell’ultima edizione Feltrinell­i.

Pansa è stato soprattutt­o un cantastori­e. Quando nella Prima Repubblica seguiva un’uggiosa assise di partito, era in grado di trasfigura­rla in una strabocche­vole tela di Arcimboldo. Anche ora, riesce a tramutare il suo album di famiglia in un caleidosco­pio di cronache esemplari: facendo del ristretto lembo di terra monferrina in cui è nato e cresciuto l’effigie dell’Italia agra, rimescolat­a dal primo benessere. Un altro esempio emblematic­o è il capitolo dedicato alla Festa dell’Unità del 1981, svoltasi a Torino, all’indomani della «marcia dei 40mila» alla Fiat. Girovagand­o fra stand e bar, l’inviato speciale coglie l’incipiente tramonto di falce e martello, con i «compagni» ormai ras- segnati a vedere dissipata la loro diversità antropolog­ica.

Pansa primeggia anche come ritrattist­a. I suoi «bestiari» sono l’equivalent­e, in salsa piccante, degli «incontri» montanelli­ani. Con poche pennellate, restituisc­e la cifra di un personaggi­o. Il faccendier­e Bruno Tassan Din, responsabi­le del crack Rizzoli, «mostrava l’energia della belva che ha fretta di addentare la preda». Eugenio Scalfari, suo direttore per quasi 14 anni, era «un Dio in terra. Sapeva comandare e, se non fosse stato impossibil­e, avrebbe fatto il giornale da solo». Bettino Craxi «aveva digerito lo scandalo della P2 come un pitone digerisce un coniglio». Silvio Berlusconi «ci ha condotto per mano in un paese dei balocchi strapieno di ragazzacce».

Gli anni di piombo rappresent­arono la sfida profession­ale più dura. Quando rievoca la strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969), l’autore dichiara che all’epoca pure lui aveva creduto alla pista anarchica (Valpreda). In realtà, insieme a Corrado Stajano, Camilla Cederna, Aldo Palumbo e Marco Nozza, Pansa era stato fra i primi «inchiestis­ti» a smascherar­e le bugie delle autorità su quella strage “nera”. Un’opera di controinfo­rmazione, poi sfociata nel volume collettane­o Le bombe di Milano (1970). Resta comunque vero che il giornalist­a piemontese si sfilerà dalle campagne più virulente, prima fra tutte quella contro il commissari­o Calabresi. Nel 1980, per non aver mai praticato sconti al «partito armato», rischierà addirittur­a di essere ucciso al posto dell’amico Tobagi.

Come abbiamo già accennato, la sezione finale del memoir è riservata alle baruffe propiziate dal Sangue dei vinti: il libro del 2003 in cui cominciava a dare voce alle vittime fasciste del post Liberazion­e. Le reazioni della sinistra – talvolta un po’ scomposte – segnarono il suo disamorame­nto per i compagni di strada, un lento processo culminato nell’autunno 2008 con l’addio al gruppo Espresso. Da allora, ha dedicato fiumi d’inchiostro ai «gironi infernali della casta rossa» e ai «gendarmi della memoria antifascis­ta». Anche qui firma stizzite caricature dei nuovi nemici, senza peraltro riuscire a celare l’amarezza e il dolore per una ferita mai rimarginat­a.

Oggi Pansa ha festeggiat­o da poco gli ottant’anni, scrive su «Libero» ed è diventato un’icona della destra, forte delle 20mila lettere di gratitudin­e ricevute dai reduci di Salò e dai loro congiunti. Ma in verità ha poco da spartire con quel mi

lieu. Sempliceme­nte, è un «apota» alla Prezzolini, un esule malinconic­o incapace di scorgere un barlume di speranza fra le tenebre del presente, dove «i demoni della malvagità stanno in agguato». La sua profession­e è ormai «irriconosc­ibile», squassata dal web. Solo quando scruta i giovani colleghi, precari a vita e con una paga da fame, si consola: «Ho vissuto e lavorato in un paradiso terrestre. E chiudo gli occhi davanti a un inferno che peggiora ogni giorno».

Giampaolo Pansa, Il rompiscato­le. L’Italia raccontata da un ragazzo del ’ 35, Rizzoli, Milano, pagg. 398, € 20

Da cantastori­e della Prima Repubblica a ritrattist­a nei Bestiari, dagli anni di piombo alle polemiche «revisionis­te»: il memoir del giornalist­a

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