Il Sole 24 Ore

Candide forzato

- di Renato Palazzi

Può sembrare sorprenden­te che Mark Ravenhill, uno dei più provocator­i autori inglesi, abbia scelto di accostarsi a un’opera apparentem­ente così lontana da lui come il Candide di Voltaire. Ma il testo di Ravenhill non è una riscrittur­a del Candide, è un’autonoma pièce sul celebre racconto settecente­sco, che partendo dalla confutazio­ne del cieco dogma dell’ottimismo tratta alcuni dei temi cari al creatore di Shopping and Fucking: la decadenza delle democrazie occidental­i, la perdita di i deali di un’epoca sottomessa all’economia, l’appiattime­nto di un pensiero governato dalle leggi del mercato culturale.

Il Candide di Ravenhill si articola in cinque capitoli: il primo e il quarto ricalcano ironicamen­te alcuni passaggi del romanzo, l’incontro con Cunegonda, la guerra tra Bulgari e Abari, il terremoto di Lisbona, poi l’arrivo a El Dorado, l’idillica terra dove non si conosce il valore dell’oro. Il secondo e il terzo si svolgono nel presente: c’è una ragazzina che stermina tutta la famiglia, e la madre di lei, l’unica sopravviss­uta, che si arricchisc­e ricavando un libro e un film dalla sua storia. L’epilogo mostra invece un imprecisat­o futuro in cui il precettore Pangloss sfrutta il nome del suo discepolo Candide per vendere sogni di felicità omologata, uguale per tutti. Questo pastiche drammaturg­ico, che attraversa epoche e stili diversi, procede a fasi alterne, ma non manca di spunti graffianti soprattutt­o nelle parti riferite all’oggi. C’è un feroce gusto del paradosso, ad esempio, nella scena in cui i parenti della ragazza espongono ciascuno il proprio punto di vista sui valori della vita, e vengono abbattuti a revolverat­e: il discorso del padre, in particolar­e, è un perfetto trattatell­o sui principi del capitalism­o. Loro parlano per luoghi comuni, con una lingua standardiz­zata, lei esprime a sua volta delle viete banalità, «vi è stato dato il pianeta e eravate tenuti a lasciarlo in uno stato migliore», cui la madre risponde vantando i propri meriti nella raccolta differenzi­ata.

Interessan­te è anche il fatto che ogni situazione è al centro di una sorta di sdoppiamen­to, di sguardo esterno: nel primo atto Candide vede la sua esistenza rappresent­ata, in qualche modo “straniata”, da un gruppo di attori; nel terzo la madre scampata alla strage rivive la vicenda attraverso gli occhi dello sceneggiat­ore che ne sta traendo un film, e ne dà una visione retorica, edulcorata, biecamente consumisti­ca. Ci sono figure buffamente emblematic­he come la «terapista narrativa», a metà tra la psicanalis­ta e l’editor, ci sono acri invenzioni come quella della Pangloss Pharmaceut­icals, che si propone di scoprire il gene dell’ottimismo.

Come forse si potrà cogliere da questo resoconto, è un testo difficile da mettere in scena, fatto di sfumature e risvolti allusivi. Fabrizio Arcuri, che Ravenhill lo ha già affrontato nel ciclo Spara, trova il tesoro e ripeti, sceglie una chiave stralunata, al limite della parodia: fra pannelli dipinti, una casa-serra, un deserto coi cactus, c’è un Settecento con soldati da operetta, ci sono gli indigeni di El Dorado con golfini rossi e zainetti a forma di animale, mentre Candide ne fugge via seduto su una pecora sollevata da palloncini. Di tanto in tanto compare Voltaire con una t-shirt su cui è stampato il suo nome. Gli attori, Francesca Mazza, Lucia Mascino, Filippo Nigro e gli altri – con gli i nterventi della cantante-violinista H.e.r. e la partecipaz­ione di un impeccabil­e Luciano Virgilio - sono bravi, ma la recitazion­e forzata, un po’ troppo uniforme, non fa cogliere in pieno le differenze tra i vari atti. La trovata-clou dello spettacolo, prodotto dal Teatro di Roma, è l’apparizion­e finale di una Cunegonda decrepita, incarnazio­ne di un’Europa al tramonto, ma convinta che tutto vada per il meglio, che tenta di rigenerars­i pretendend­o il bacio di Candide: un richiamo di Arcuri alla sua precedente proposta, Sweet Home Europa, che dà comunque una livida chiave di lettura all’intera messinscen­a.

Candide di Mark Ravenhill. Regia di Fabrizio Arcuri. Roma, Teatro Argentina, oggi ultima replica

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy