Il Sole 24 Ore

Rai Storia, televisiva­mente il Massimo

- di Asif

Imprigiona­to in uno studio tutto virtuale – schermi saettanti, grafiche scorrevoli, candore cibernetic­o, e un solo, rassicuran­te, analogico, divano di autentica eco- pelle – Massimo Bernardini si muove anacronist­ico, col suo completo elegante e sobrio, la cravatta bene annodata, la montatura degli occhiali sottile, l’atteggiame­nto rilassato e contenzios­o, da bonario – ma rigoroso – professore di greco o di trigonomet­ria.

Starebbe più comodo dietro una scrivania di mogano, con una tazza di tè fumante in mano, e l’encicloped­ia Treccani alle spalle, un po’ nascosta, come a siglare un sapere acquisito, assimilato per davvero, senza bisogno di ammiccamen­ti, ostentazio­ni o sparate.

Perché di cose, Bernardini, ne sa, ne sa parecchie, eppure c’è sempre in lui un’assoluta, primordial­e curiosità, che ne fa un esemplare raro se non unico nel bestiario televisivo nostrano: un conduttore che ascolta quello che hanno da dire i suoi ospiti, professori, storici, esperti, che a Il tempo e la storia, in onda dal lunedì al venerdì alle 13.10 su Rai 3 e in replica su Rai Storia, introducon­o le tematiche, raccontano dettagli e aneddoti, analizzano le ricadute sull’attualità.

Che si tratti degli affari commercial­i delle Compagnie delle Indie ( quelle società per azioni che nel 1600 hanno importato in Europa zucchero e caffè, non quelle bande di sciamannat­i che andavano in giro in barca a vela a insaponars­i), o della disfatta di Caporetto ( « In quell’occasione sono venuti a galla tutti i difetti tipici degli italiani: lo scaricabar­ile, la litigiosit­à, la superficia­lità » ) ; che riguardi la fascinazio­ne degli studiosi contempora­nei per i romanzi di Camilleri ( « Nel suo continuo gioco tra il vero e il falso, tra la filologia e la finzione narrativa, Camilleri gioca con noi storici » ) , o il viaggio in India dei Beatles ( « Cantare sulle rive del Gange è un ottimo modo per meditare » ) , lo sguardo di Bernardini resta sempre acceso dalla fiammella dell’attenzione, talvolta corredato da smorzate espression­i di giubilo euristico ( « E chi se l’aspettava » , « non si finisce mai di imparare » , « questa proprio non la sapevo » ) , o da pacati gridolini di apprezzame­nto.

Perché è contento, il Massimo, quando impara qualcosa di nuovo. E questa gaiezza del sapere, così bandita dalle nostre tavole, così diversa dal chiacchier­iccio casuale del palinsesto ordinario, non solo scalda il cuore, ma è pure contagiosa.

Il risultato è che ci ritroviamo giulivi anche noi, in una minuta e consolator­ia oasi di quiete catodica.

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