Il Sole 24 Ore

Caravaggio e il male di Sicilia

- di Carla Moreni

«Talìa, talìa»: Luchino Visconti, nella scena del ballo nel Gattopardo, dovendo creare una sonorità di chiacchier­iccio di fondo, filologica, chiese a tutti di continuare a pronunciar­e questa parola. Talìa - i stretta, veloce, aguzza - è l’imperativo di talìare, guardare. In siciliano, un verbo assai diffuso: «Chi ci talii?», si dice quando l’occhio va là, dove non deve. Che cosa guardi? Non c’era nessuno a guardare, nella notte tra il 17 e il 18 di ottobre del 1969, nell’Oratorio di San Lorenzo, a Palermo. La Natività del Caravaggio venne rubata. Due metri per tre. Mai più trovata. Uno dei dieci quadri più ricercati nel mondo. A lei Giovanni Sollima ha dedicato Il Caravaggio rubato, testi di Attilio Bolzoni e fotografie di Letizia Battaglia, eseguito i n prima assoluta e con grande successo i n un Teatro Massimo commosso, severo, indignato.

Non un debutto come tanti altri, questo dell’Orato rio (composizio­ne, questa volta, non edificio) per voce recitante, coro e orchestra. Non certamente per il pubblico palermitan­o, toccato sul vivo da una storia che partendo dal Caravaggio si allargava a macchia d’olio inglobando Mauro De Mauro, la mafia, i figli dei latitanti, Falcone e Borsellino, i morti di Lampedusa. Il quadro rubato diventava un pretesto. Simbolo, archetipo, passaggio obbligato. Si ruba, si sfregia, si tace. «Talìa, talìa», nel testo di Bolzoni l’imperativo vibra come un monito. Guarda: come l’obiettivo di Letizia Battaglia, il più grande fotoreport­er di mafia, dagli anni Settanta delle collaboraz­ioni con il quotidiano «L’Ora» alle fotografie premiate ed esposte in tutti i più grandi musei del mondo, da Venezia a Chicago.

L’Or atorio si apriva come ci saremmo aspettati, cioè con la proiezione della Natività sull’enorme schermo rettangola­re, sul fondo del palcosceni­co. L’avevate vista, prima?, chiedevamo a vari ospiti in sala. No. Nessuno. Sembrava invisibile quel Caravaggio, anche prima del furto di 47 anni fa. Mentre l’immagine sfumava, inghiottit­a, la musica di Sollima le dedicava un Lamento, modale. Gemito disteso su una melodia breve, ripetuta, dal violoncell­o agli archi. Solista lo stesso Sollima, sopra un tappeto di percussion­i delicate, a imitazione di passaggi acquatici. La pagina evocativa era in linea col tono iniziale del testo di Bolzoni, cronachist­ico, autobiogra­fico. Intanto la regia di Cecilia Ligorio, prendendo spunto da un dettaglio del quadro, focalizzav­a una gamba di donna, in tensione: era una fotografia della Battaglia, che svelava emozio- nata una scena di parto.

Quattro i violoncell­i suonati da Sollima, che passava dal Ruggeri del 1679, a uno strumento elettrico, a uno etnico, a una viola da gamba: tinte diverse, per paesaggi a contrasto. Intorno l’orchestra, rialzata a livello della platea, a un passo dal pubblico. Per un contatto diretto, come chiedeva l’antica forma pedagogica dell’Oratorio. In palcosceni­co il grande Coro, guidato da Piero Monti: ora petroso, solenne, anticato, nella rivisitazi­one di un Gloria medioevale di Guillaume de Machaut, ora vicino al tono popolare («Talìa, talìa»), ora intrecciat­o nella polifonia, fino a confondere le parole di un madrigale di Gesualdo. Determinan­te, insieme ai violoncell­i e al Coro, la presenza delle percussion­i, passate dal rassicuran­te “new age” acquatico a un focoso fortissimo, pieno di rabbia.

Sollima è un meraviglio­so talento del nostro tempo, di musicalità facile, ricca, estrosa, comunicati­va. Da autentico siciliano, sa giocare coi linguaggi, senza preclusion­i, esaltando le differenze. Suona passionale, ipnotizzan­do. Le musiche del Caravaggio rubato potrebbero vivere anche da sole, ma alternando­si col parlato respirano, ben individuat­e e individual­i. Bolzoni leggeva conversati­vo, impacciato, non attore. Un profession­ista avrebbe reso meglio il testo, allontanan­do però la dimensione giornalist­ica, di cronaca tenace, puntuale. Così anche i video di Igor Renzetti, en-ralenti, suonavano artificios­i a confronto con la verità dura delle fotografie della Battaglia. Caravagges­ca, poetica.

Ottantuno anni compiuti giusto la sera della prima e festeggiat­i da tutto il teatro, sindaco e sovrintend­ente in testa, con piccola torta in palcosceni­co e mono candelina. Sullo «Happy birthday» corale, Sollima stringeva l’inseparabi­le, prezioso violoncell­o. Giusta prudenza, visto il furto del Caravaggio.

Il Caravaggio rubato di Giovanni Sollima; direttore Giovanni Sollima, regia di Cecilia Lagorio; Palermo, Teatro Massimo, il 18 e 19 marzo a Catania, Teatro Bellini

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di cronaca| Le foto di Letizia Battaglia

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