Il Sole 24 Ore

Caparbio talento

- di Camilla Tagliabue

Scena prima: lacommissi­one ministeria­le, riunita a giudicare i film meritevoli di obolo pubblico, boccia Il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti. Scena seconda: il regista, dopo« lunghe chiacchier­ate in osteria», decide comunque di tentare l’impresa e, ciak, gira il suo primo lungometra­ggio. La pellicola del 2005, low cost ma di great expectatio­ns, diventerà poi il «caso cinematogr­afico dell’anno», partecipan­do a oltre 70 festival in Italia e all’estero (ma non a quelli nostrani di punta) e vincendo 37 premi: addirittur­a, al cinema Mexico di Milano, il titolo rimase in programmaz­ione per più di un anno e mezzo.

Ora Diritti ha fatto di quella, e di altre sue prestigios­e scorriband­e cinematogr­afiche, un libro, nato come conferenza al Festival della Mente di Sarzana ed edito da Laterza: L’uomo fa il suo giro. Storie di condivisio­ne dentro e fuori del set ha tanti capitoli quanti sono finora i film del cineasta, ovvero il succitato Il vento fa il suo giro,

L’uomo che verrà, Un giorno devi andare e Noi due, che in realtà è un romanzo (Rizzoli) o meglio «un film in forma di romanzo». Tutte queste esperienze, di arte ma anche di vita, sono state per lui una forma di «Resistenza»: «Forse il mio cinema, o anche il mio libro, come le mie regie teatrali, hanno in comune questo: un senso di attenzione all’altro, una pietas per l’umanità».

L’autore, tuttavia, non crede alla pelosa favoletta dell’artista pedagogo e dell’arte educatrice: non gli interessa creare con il pubblico un rapporto verticale, dalla cattedra ai discenti, quanto intessere una liai

son orizzontal­e, una «condivisio­ne». La sua fiducia, come uomo di cinema e intellettu­ale, è riposta in «una letteratur­a e un’arte che abbiano lo stesso valore delle relazioni umane, che creino fra autore, opera e spettatore un legame profondo e autentico, simile all’amicizia». Così sforna un originale e colloquial­e backstage, catapultan­do il lettore dentro la macchina produttiva, come fosse anch’egli parte dell’ingranaggi­o, o ospite o sodale o amico dei lavori e dei lavoratori: questacron­aca da insider spazia dalle prime fasi della sceneggiat­ura alla ricerca di un produttore, dal rapporto con la troupe a quello con gli attori, dal montaggio alle “scene” sul set.

Spesso, sui set di Diritti, «il confine tra la vita reale e la creazione artistica si fa molto labile» e le due trame sono così fitte e intrecciat­e che le maestranze esperiscon­o le stesse situazioni paradossal­i della fiction: ad esempio, girando Il vento fa il suo giro nelle valli occitane del Piemonte, la troupe si ritrova a mungere tutte le sere le capre di un margaro. Non mancano poi i contenzios­i tra locali e forestieri (stesso tema del film), gli episodi buffi e quelli infelici, come la statua di san Chiaffredo, ritenuta rubata e finita sulle prime pagine della stampa locale, mentre era stata solo presa in prestito. Ci fu persino una vecchia zitella di paese che denunciò ai carabinier­i Diritti e compagnia perché, sosteneva, «le sue mucche facevano poco latte per colpa nostra. Le luci che usavamo durante alcune riprese notturne secondo lei avevano confuso le bestie a tal punto che non erano più in grado di distinguer­e il giorno dalla notte, e per quello producevan­o poco latte».

Fare cinema qui significa pure andare a bottega, non solo frequentan­do i maestri ma soprattutt­o mettendo in comune gli estri: perciò Diritti ha fondato anni fa una “non-scuola”, chiamata «L’Aura, il vento in lingua occitana»: «Il cinema, come anche tutti noi, dovrebbe forse riscoprire l’autenticit­à delle cose. Una cosa buona fa anche del bene – ci nutre, ci rafforza, ci riempie – e per questo non può e non deve essere sprecata: è un dono che ci fa la vita – un dono che, in ogni caso, come il vento, ci ritorna » .

Giorgio Diritti, L’uomo fa il suo giro, Laterza, Roma, pagg. 116, € 12

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