L’animale che è in noi
Appena pubblicato da Bompiani, il libro di Umberto Pasti è popolato di fiori viaggiatori e centauri nerboruti
Cara lettrice-Tulipano, caro lettore-Rododendro» non farti infinocchiare dalla prosa poetica di Umberto Pasti: il suo ultimo libro è per i veri amanti della natura, gente dallo stomaco forte, per intendersi, i duri e puri della crociata ambientalista e animalista, che non santificano le piante e non temono la ferocia del mondo ferino, persone integerrime che provano pietà per le tenie espulse dai propri intestini e spasimano nel contemplare la lenta digestione di una serpe.
Animali e no, appena edito da Bompiani, è un bestiario, ma pure un erbario, anomalo e affettuoso, illustrato dalle bellissime tavole di Pierre Le-Tan e popolato di «fiori viaggiatori» e centauri nerboruti, Iris e Narcisi, falchi di nome Luca e salamandre chiamate Romeo. Ci sono pure le rane canterine «per angoscia», la cui esistenza è minacciata da un riccastro che modifica l’ambiente a suo piacimento, ora asfaltando una duna ora costruendo una diga, con conseguente olocausto di anguille e rospi, pesci e anfibi.
Il titolo di questa raccolta fa il verso a Elio Vittorini, tuttavia il primo dei nove racconti si apre come Il piccolo principe, ovvero con un serpente e serpentine dichiarazioni sulle «persone grandi», tipo: «Quasi tutti gli adulti avevano questa mania di parlare di persone». Il narratore è un quattordicenne spericolato: non perché guida il motorino senza casco, ma perché è l’amante clandestino di una certa Carolina, una serpentella di razza Coronella, innocua e inappetente, pur dandosi arie da vipera o da pitonessa. Non meno strampalato è il veterinario di fiducia, «un uomo in gamba che
in passato mi aveva aiutato a ingessare la zampa di un rospo», mentre la madre caccia di casa il ragazzino, allungandogli un bel gruzzolo, pur di sbarazzarsi dell’ospite strisciante.
Pasti ha una naturalezza invidiabile, una penna deliziosa e maliziosa, che sa anche farsi beffe di maestri come Nabokov e Proust: del primo riscrive l’incipit di Lolita («Naonis, fuoco dei miei lombi»), riferendosi a un verme solitario che gli rode le terga; il secondo lo sfrutta per descrivere una bastardina dal «muso sottile, volpino: a Swann avrebbe ricordato una bellezza del Botticelli».
Zigzagando da Milano a Tangeri, dai parchi di una metropoli ai cimiteri africani, l’autore insegue la «vertigine da bulbosa autoctona in via di estinzione», sulle tracce di esemplari selvatici e rari: «È la mosca bianca, il diamante nero, il raggio verde del regno vegetale: il Narcissus viridiflorus. L’ho cercato per monti e per valli, camminando per chilometri nel matorral, su falde calcaree, tutti gli autunni, dopo le piogge, prima delle piogge, sotto le piogge…».
È dolce naufragar con gli Animali e no, «con i grilli, le rane, la talpa dormigliona, la raganella Alda, il rospo Giuseppe, gli scorpioni, le mosche, un’anofele alta, una formica in vena di chiacchierare, uno scarabeo, un ragno…». Se le bestie si fanno antropomorfe, l’uomo è costretto a imbestialirsi, ma con grazia: «Caro lettore, comincia la storia di uno che spera che tu sia simpatico come un grillo e sensibile come una lepre - e di diventarti amico». Per strappare confidenze a chi legge, chi scrive si mette a nudo per primo, rivelando «l’animale che è in lui»: niente di romantico, per carità, si tratta semplicemente di una tenia che gli ha colonizzato il colon.
Nonostante il suo buon laidume, la natura è sempre maiuscola: Tiglio, Ciclamini, Noccioli, Quercia, Platani, Abeti… Agli animali, invece, il nome proprio è concesso solo per affinità elettiva con lo scrittore, che ribattezza, ad esempio, Darling una schizzinosa mantide religiosa,
Una delle tavole di Pierre Le-Tan che illustrano il libro di Umberto Pasti molto più ghiotta di vino e limoncello che di esemplari maschi cui tagliare la testa dopo l’amplesso. La sensibilità del protagonista, anche in questo caso, è massima: prima si fa lo scrupolo di dare in pasto a Darling un animaletto, poi però si convince che «la vita di un insetto maschio sconosciuto era un prezzo che eravamo disposti a pagare per la felicità completa della nostra amica». Viceversa, i migliori amici dell’uomo, alias i cani, non interessano a Pasti; o meglio, gli interessano solo quelli che vivono a stento, in disgrazia, per la strada, in paesi in cui sono considerati impuri, come i randagi musulmani, «appartenenti a quel mondo in cui, invece di animali domestici (ossimoro mostruoso!), si muovono e si azzuffano, cacciano e fuggono, si amano e dormono, eroi da epopea».
Vita difficile, intensa e bellicosa, quella degli animali, piena di «duelli ariosteschi, degli amori più folli, della fedeltà più ostinata e del più basso dei tradimenti. (Questa è) gente abituata a fatiche immani e a languide sieste di mesi, che quando può divora pasti da ciclope e se deve digiunare lo fa come cento anacoreti, perché la regola del loro universo, a malapena avvertibile dal pentolino ronzante in cui noi umani sobbolliamo a bagnomaria, è una, è stentorea e vulcanica: esuberanza e eccesso!». Insomma, nella natura non si può mai stare in pace.
Umberto Pasti, Animali e no, Milano, pagg. 148, € 17