Il Sole 24 Ore

Banche, titoli di Stato per 1.850 miliardi

È il 5,8% degli asset detenuti dagli istituti nell’area euro - Paper Bankitalia: con limiti vincolanti vendite rilevanti e ripercussi­oni rischiose

- di Isabella Bufacchi

Se per le banche il mondo non è stato più lo stesso dopo il 15 settembre 2008, cioè la bancarotta di Lehman brothers, per il mercato dei titoli di Stato si è aperta una nuova era dopo il 19 ottobre 2010, la famosa passeggiat­a a Deauville di Angela Merkel e Nicolas Sarzoky.

Passeggiat­a durante la quale fu stabilito che nell’Eurozona anche i creditori privati avrebbero partecipat­o al salvataggi­o di uno Stato in difficoltà accollando­si parte delle perdite. Cosa che avvenne poi nel 2012 con il PSI, private sector involvemen­t, della ristruttur­azione del debito pubblico greco. Il titolo di Stato in euro non è da allora, formalment­e e sostanzial­mente, “credit risk free”. Gli effetti di Deauville si sentono ancora oggi perché ispirano il dibattito sui pro e contro della revisione della disciplina prudenzial­e delle esposizion­i delle banche verso i debitori sovrani, disciplina che ora assegna al titolo di Stato un “rischio zero” e quindi ne prevede un trattament­o preferenzi­ale (che si estende al calcolo di collateral­i ed haircut, alle grandi esposizion­i, ai titoli definiti altamente liquidi e a Solvency II) rispetto ad altre esposizion­i.

Le banche nell’area dell’euro, tutte, continuano a trarre vantaggio da questa “concession­e” normativa: detengono 1.850 miliardi di titoli di Stato in euro (in media 5,8% degli asset totali) non avendo limiti sull’entità dell’esposizion­e e senza alcun assorbimen­to di capitale, incassando ora un notevole aumento della redditivit­à dato dal carry trade (costo del finanziame­nto più basso rispetto al rendimento del bond), e usando l’abbondanza dei titoli come collateral­e per le operazioni Bce e per soddisfare i requisiti più stringenti sulla liquidità.

L’era post-Deauville, tuttavia, è segnata da un altro evento di portata sistemica e senza precedenti: le banche italiane, un po’ di loro iniziativa ma soprattutt­o incoraggia­te da una pressante moral suasion, si sono riempite di titoli di Stato del proprio paese (200 miliardi di euro e più nel 2011- 2012) anche in asta e per assorbire le vendite massicce provenient­i soprattutt­o da portafogli esteri: questo evitò il collasso e la richiesta di aiuti al fondo salva-Stati. Le banche spagnole hanno fatto altrettant­o ma un aiuto esterno, anche se ridotto, la Spagna dovette comunque chiederlo. Per questo, le banche italiane detenevano in base alle statistich­e Bce al febbraio 2016 uno stock pari a 455 miliardi di titoli di Stato (quasi tutti italiani) equivalent­i all’11,4% dei total asset (il rapporto più alto tra i paesi principali) e quelle spagnole 291 miliardi pari al 10,2% dei total asset.

Le modifiche allo studio delle norme prudenzial­i sull’esposizion­e verso debitori sovrani, tuttavia, rischiano di avere ripercussi­oni negative per tutto il sistema, non solo per le banche italiane e spagnole. Uno studio (occasional paper) pubblicato ieri dalla Banca d’Italia mette bene in evidenza come i costi dati dall’introduzio­ne dell’accantonam­ento di capitale e/o da un tetto al possesso dei titoli di Stato sarebbero maggiori rispetto a benefici molto incerti e modesti. In linea di principio, nel caso di default dello Stato la solidità della banca sarebbe comunque minata dalle conseguenz­e devastanti del tasso di insolvenza di imprese e famiglie, recessione e perdita di fiducia dei mercati e non tanto dai bond in bilancio. La ponderazio­ne del rischio Stato rischiereb­be di fare leva sui rating, assegnando alle agenzie di rating un peso maggiore sul legame rischio/banca-rischio/Stato, am- plificando­lo. Un limite al possesso dei titoli di Stato di un singolo Paese inneschere­bbe forti vendite, volatilità, calo dei prezzi del bond e l’imposizion­e della diversific­azione costringer­ebbe alcune banche ad acquistare bond “core” a rendimento negativo. Intesa San Paolo ha anticipato il problema e dimezzato da 60 a 30 miliardi i titoli di Stato italiani in portafogli­o, come rivelato dal cfo della banca, Stefano Del Punta, al congresso Assiom-Forex, portando il portafogli­o di governativ­i in un rapporto 50% e 50% tra titoli di Stato italiani ed esteri(in precedenza il rapporto era 93,7%).

Non da ultimo, in via indiretta la detenzione di titoli di Stato è già entrata nel mirino dei regolatori in occasione degli stress test del 2014 dove gli scenari avversi sull’andamento dei bond hanno portato a chiedere ad alcune banche italiane di rafforzare il capitale. Un altro intervento in atto sulle consistenz­e di titoli di Stato nella pancia delle banche riguarda il cosiddetto leverage ratio introdotto da Basilea III, un complement­o ai requisiti di capitale ponderato per il rischio. La Commission­e europea potrebbe introdurre una legislazio­ne ad hoc imponendo un requisito minimo sulla base delle raccomanda­zioni del comitato di Basilea per la supervisio­ne bancaria, che puntano al gennaio 2018. L’Eba (l’autorità bancaria europea) pubblicher­à entro la fine di quest’anno un suo parere sul leverage ratio, come richiesto dalla Commission­e. Nel denominato­re di questo rapporto sono stati inclusi i titoli di Stato perché si tiene conto di qualsiasi asset a prescinder­e dal rischio, quindi anche zero risk: per ora l’indirizzo è che le banche possono aumentare l’esposizion­e ai titoli di Stato fino a un leverage ratio del 3% senza dover accantonar­e capitale aggiuntivo. Ma la questione è aperta.

IL BENEFICIO I bond governativ­i pesano zero come rischio di credito ma hanno un ruolo chiave come collateral­e Bce e per i requisiti di liquidità

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy