Molta importanza alla formazione, molta diffidenza per la finanza
Sorridente, sempre cordiale, con un rapporto privilegiato con I suoi studenti con i quali aveva creato una comunità di studiosi, formando una folta schiera di allievi attivi nelle migliori università del mondo, Robert Solow vince il premio Nobel per l’economia nel 1987. Diceva spesso che se avesse trascurato i suoi studenti avrebbe potuto pubblicare molti più saggi, ma non si era mai pentito del suo profondo e proficuo legame con gli allievi.
L’insegnamento universitario era un approdo insperato, per un figlio d’immigrati che avevano tirato su tre figli con molta cura e pochi soldi. Solow ricorda con piacere sia la sua famiglia, sia la buona educazione ricevuta nelle scuole pubbliche di New York, dove era nato, primogenito, nel 1924. Sarà un insegnante dell’ultimo anno del liceo a incoraggiarlo a leggere la letteratura francese e russa e, con questa nuova visione da intellettuale, ad aprirgli le porte per una borsa di studio a Harvard dove Robert entra nel 1940, a sedici anni. Curioso, come tutta la generazione vissuta con la Grande Depressione come compagnia, delle cause di questo catastrofico fallimento, comincia a seguire i corsi di sociologia e di antropologia, insieme ai primi rudimenti di economia.
Appena compie 18 anni, siamo nell’agosto del 1942, chiede di arruolarsi pensando che stavano succedendo nel mondo cose più importanti dei suoi studi, e Robert voleva far parte di quel che stava accadendo. Scrive che la vita militare (ha combattuto in Italia) aveva formato il suo carattere: si era trovato in una squadra molto legata e condotta da uno degli uomini migliori che abbia mai conosciuto.
La fortuna di essere immesso in un gruppo omogeneo e valido, la ritrova sia a Harvard, dove ha come insegnante Wassily Leontief, sia al Mit di Boston, dove approda nel 1950 e dove resterà fino al 1995. La familiarità con Paul Samuelson fu un’altra componente cruciale del suo vissuto di studioso. È attraverso le quotidiane conversazioni con lui che Solow capisce che ha una vera vocazione per la macroeconomia e riesce a indirizzare i suoi talenti in questa direzione.
Nel discorso davanti all’Accademia del Premio Nobel comincia con una frase che meglio di altre può descriverlo: «Ho detto, una volta, che ogni persona ha un sogno ma spesso se ne dimentica, la mattina, al risveglio. Non so quindi se avessi mai sognato di tenere questa lectio magistralis davanti a voi, ma una cosa è certa, se avessi sognato avrei parlato della crescita economica».
La teoria della crescita (vedi articolo a fianco) era per lui essenziale perché rispondeva allo scopo dei suoi studi: migliorare la condizioni dello sviluppo economico per migliorare la vita dei singoli cittadini. Nel 1975 fonda, con altri studiosi amici il« Man powerD emons trati on Research Corpora ti on », un’ organizzazione non prof itch esi occupava di aiutare le fasce deboli, combattendo la dispersione scolastica. In Italia torna ogni anno, da quando, alla morte di Modigliani, presiede l’Iseo, Istituto di Studi Economici per l’Occupazione, che con la sua Summerschool, riunisce studenti da tutto il mondo per discutere i problemi di lavoro e occupazione. Dà una grande importanza alla formazione incoraggiando ogni investimento sul capitale umano. Diffida dei mercati finanziari« terreno pericoloso- dice-come camminare su una cordate sa tra due palazzi: il rischio è alto, meglio non provarci»: parole di premio Nobel.