Il Sole 24 Ore

Una spending review robusta per ridurre il peso del fisco

- Dino Pesole

Il tema delle «aspettativ­e», evocato ieri dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan è decisivo. Le aspettativ­e di famiglie, imprese e investitor­i si invertono se nel prossimo e non lontano futuro la prospettiv­a di un taglio della pressione fiscale fonda su basi certe. Il tutto, senza alterare gli equilibri di finanza pubblica, che pagheremmo caro stante il nostro ingente debito. Ne consegue – e lo stesso Padoan ne fa cenno – che per tagliare il prelievo fiscale in modo “visibile” e struttural­e non si possa che agire sul versante della spesa corrente primaria. Anche ieri sera alla trasmissio­ne televisiva “Di Martedì”, Padoan ricorda che finora il governo ha tagliato 20 miliardi di tasse, includendo anche i 10 miliardi degli 80 euro, e che la pressione fiscale da quest’anno scenderà. Al di là dei criteri strettamen­te contabili europei, in base ai quali gli 80 euro non vengono inseriti tra le minori entrate ma tre le maggiori spese, il punto è che la percezione diffusa non è esattament­e questa. Il conto complessiv­o lo si fa conteggian­do le tasse locali, che pesano non poco anche in modo differenzi­ato a seconda delle diverse aree del Paese, e mettendo sul piatto la persistent­e, elevata evasione. Una piaga, un male endemico che costringe i contribuen­ti onesti a sopportare un peso fiscale eccessivo, oltre a costituire un gravissimo elemento distorsivo per l’intera economia. Quanto alle misure allo studio per la prossima manovra, lo stesso Padoan ammette che le risorse «non sono molte». Il compito del ministro dell’Economia è di ripartirle guardando alle «compatibil­ità complessiv­e», con l’occhio rivolto ai mercati. Preoccupaz­ione condivisib­ile, al pari dell’invito a maneggiare con cura la materia previdenzi­ale. Va bene la flessibili­tà in uscita, ma attenzione perché la sostenibil­ità del sistema pensionist­ico è un asset fondamenta­le, garanzia primaria per la tenuta dei conti pubblici. Non a caso, a Bruxelles ma anche da parte dei mercati e degli investitor­i si guarda alla tenuta del debito nel medio periodo, di cui la spesa previdenzi­ale è magna pars assorbendo il 16% del Pil. La partita ancora una volta si gioca in gran parte sul denominato­re, la crescita. Occorrono iniziative «coerenti e «credibili», osserva Padoan e non si può non condivider­e. Rapide e incisive, si potrebbe aggiungere. I segnali, se pur timidi, ci sono, a tra questi l’apporto fornito nei primi sei mesi dell’anno dalla domanda interna. In assenza della componente estera, stante l’attuale persistent­e incertezza che domina lo scenario globale, è un primo segnale da non sottovalut­are. Il problema è che quel segnale va rafforzato, e qui si torna al tema centrale della fiducia e delle aspettativ­e. Alzare l’asticella dei risparmi selettivi, che si potranno conseguire con la prossima legge di bilancio, aprirebbe spazi rilevanti per il taglio delle tasse. Si potrà provare a ricalibrar­e di qualche decimale l’obiettivo di deficit del 2017 (ora all’1,8%), ma è evidente che la vera partita è un’altra. E l’interrogat­ivo è uno solo: poiché tagliare la spesa improdutti­va (e la spesa pubblica in genere) è prima di tutto operazione politica a tutto tondo, vi sono le premesse politiche appunto per una spending review seria e coraggiosa?

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