Il Sole 24 Ore

Industria 4.0, il valore delle competenze

L’Italia è in ritardo sulla digitalizz­azione. Bene solo su cloud computing e stampa 3D

- Di Laura Cavestri

Il treno dell’ “Industria 4.0” è in stazione ma noi, nella maggior parte dei casi, siamo riluttanti a prenderlo. In Italia si moltiplica­no gli esperiment­i e gli sforzi (soprattutt­o nei settori ad alto valore aggiunto e nelle cosiddette “multinazio­nali tascabili”). In rigoroso ordine sparso. Ma la massa critica delle Pmi rischia di restare indietro. Perché prima ancora di quanto investire servono le competenze per sapere dove allocare le risorse e per fare cosa.

Non tutto è perduto. Rispetto ai tedeschi, ad esempio, abbiamo più dimestiche­zza col cloud computing (un investimen­to low-cost) e la stampa 3D (soprattutt­o in fase di prototipaz­ione). Ma siamo lontani dall’Internet of Things, dalla digitalizz­azione dei processi, le nostre aziende non comprano e non vendono online.

Fotografia di un Paese manifattur­iero che innova poco e rischia di perdere il treno della digitalizz­azione di impresa è il quadro presentato ieri a Milano, nella sede de Il Sole 24Ore, da Gregorio De Felice, Chief economist di Intesa Sanpaolo.

Un’occasione anche per sancire il battesimo dell’accordo tra Intesa Sanpaolo e il Gruppo Sole 24Ore per presentare un nuovo sistema di master e best practice per la formazione di imprendito­ri, manager d’impresa e neo laureati. La banca renderà più agevoli prestiti e finanziame­nti ai corsi della Business School del Gruppo 24Ore, che si concentrer­anno su modelli di business imposti dalla rivoluzion­e digitale, le competenze necessarie perle nuove profession­i, il sociale digital marketing, i processi di internazio­nalizzazio­ne fino allo sviluppo dell’ imprendito­ria femminile.

Perché secondo Boston Consulting Group, l’applicazio­ne di Industry 4.0 può muovere fino all’1,1% di Pil tedesco e 400mila nuovi posti di lavoro, determinan­do nei prossimi 15 anni un incremento della produttivi­tà tra il 5 el ’8 per cento. «In Italia – spiega De Felice – si prevede che ci vorranno 10-15 anni prima che le nuove tecnologie applicate all’impresa raggiungan­o il massimo dell’efficienza e – stime Roland Berger – 60 miliardi di euro annui in Europa sino al 2030, di cui non meno di 10 miliardi per la sola Italia». Con un incremento del valore aggiunto del manifattur­iero di circa 40 miliardi in dieci anni. Ma se in Germania l’innovazion­e è una realtà pianificat­a e calata dall’alto, in Italia prevale il “fai da te”.

«Nel 2008 – ha spiegato Luca Bondioli (direttore generale di Calze Ileana, 8 milioni di fatturato, 16 addetti e clienti tra le star della musica Usa e le griffe internazio­nali) – abbiamo fatto un’approfondi­ta analisi di mercato e deciso di rilanciare il collant come accessorio di moda. Abbiamo avviato importanti innovazion­i sui materiali, con il filato Dryarn resistente a sbalzi da -20 a +30 gradi e rivoluzion­ato il packaging. Oggi vendiamo calze coloratiss­ime o classiche, per uomo, donna e bambino in lattine, come quelle delle bibite, non solo in negozi fisici di tutto il mondo ma anche dentro distributo­ri automatici in luoghi strategici come aeroporti e hotel, oltre al canale online».

«Per innovare serve una mentalità incrementa­le, anche in un settore lontano dall’elettronic­a e dagli smartphone come quello delle commodity – ha aggiunto Pasquale Casillo, presidente e Ad di Casillo Group, il più grande trader italiano di grano duro da 1 miliardo di fattura- to –. Fummo tra i primi a stoccarle in silos verticali abbandonan­do i sacchi. Con l’Università di Foggia – un investimen­to da 800mila euro –abbiamo messo a punto un trattament­o termico che consente di somministr­are i farinacei ai celiaci. Oggi abbiamo costituito Casillo Academy, una “scuola di formazione” interna, rivolta a neolaureat­i e neodiploma­ti da inserire in azienda con le competenze che servono e i necessari soft skills ». L’Italia investe troppo poco in R&S: l’1,3% del Pil rispetto al 2,8% della Germania, al 2,3% della Francia e al 2% della media Ue.

«Investiamo meno in ricerca e sviluppo rispetto ai nostri competitor­s – ha detto ancora De Felice – ma facciamo anche poco per sfruttare ciò che abbiamo. Ovvero minore interazion­e tra aziende e università, istituti di ricerca pubblici e privati». Invece, spiega Andrea Bairati (direttore Area Education e Innovazion­e di Confindust­ria) «la stessa tendenza della grande industria internazio­nale non è più quella di accentrare la ricerca in house, ma di stringere accordi, sostenere le Pmi e le start up più innovative perchè siano “laboratori sperimenta­li” di innovazion­e».

Un Paese che innova attrae anche investimen­ti esteri e posti di lavoro qualificat­i che sono l’antidoto al precariato under 40.

Da qui il tassello essenziale della formazione dei manager e dei titolari di imprese perchè imparino ad innovare con un rischio tarato sull’intelligen­za delle scelte, che Il Gruppo Sole 24Ore e Intesa Sanpaolo hanno presentato ieri.

«Con Intesa Sanpaolo – ha detto il neo Ad del Gruppo 24 Ore, Gabriele Del Torchio – condividia­mo la vocazione per il territorio. La digitalizz­azione dell’Italia è bassa, ma ora abbiamo la grande opportunit­à di crescere in questa direzione. E questo vale anche per l’asse portante della nostra economia: le Pmi devono adeguare il loro operato alla digitalizz­azione dell’economia».

«Il nostro dovere come prima banca in Italia – ha concluso Stefano Barrese, responsabi­le divisione Banca dei Territori di Intesa Sanpaolo – è accompagna­re le imprese in questo percorso offrendo loro i migliori strumenti e l’accordo con il Gruppo Sole 24 Ore aggiunge nuova forza alla nostra proposta».

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