Il Sole 24 Ore

Perché si deve osare di più sui mercati internazio­nali

- Carmine Fotina

Èuna colonna dei file Excel contenuti nell’Annuario Istat ciò che meglio di ogni altro argomento spiega quanto vale la capacità di esportare. Il differenzi­ale di valore aggiunto per addetto, tra le imprese esportatri­ci e quelle che vendono esclusivam­ente in Italia, varia dal 66 al 38%, in base alla classe di addetti. Tra l’uno e l’altro emisfero dell’imprendito­ria italiana, in altre parole, scorre un oceano di competitiv­ità. E si può ben capire dunque perché uno degli obiettivi ineludibil­i di politica industrial­e debba essere conquistar­e alla causa nuovi protagonis­ti. L’Italia, nonostante questa missione sia stata pubblicame­nte annunciata e inserita tra le priorità del Piano per il made in Italy, vede però aumentare solo il plotone dei microespor­tatori (quelli che battono i mercati stranieri sporadicam­ente, e che meno fanno crescere le esportazio­ni complessiv­e del Paese,) e quello dei “big”, che con ricavi esteri tra i 15 e 50 milioni rappresent­ano una quota di esportator­i ormai abituali e che difficilme­nte farebbero marcia indietro. A mancare è un vero scatto in avanti da parte delle classi intermedie, quelle degli indecisi ma con elevate potenziali­tà.

Passando all’analisi dei numeri, va evidenziat­o che complessiv­amente nel 2015 è proseguita la tendenza, iniziata dal 2010, all’aumento del numero degli esportator­i, arrivati a 214.113, circa mille in più rispetto al 2014. L’incremento, a ogni modo, è legato principalm­ente ai micro-esportator­i (fatturato all’export inferiore a 250mila euro), passati da 163.406 a 164.726, e in misura minima alle aziende che viaggiano tra 15 e 50 milioni, passate da 2.544 a 2.569. Al netto di queste due categorie, il saldo sarebbe addirittur­a negativo.

Se si osserva poi il contributo alla crescita delle esportazio­ni, si notano tutti i limiti dei micro esportator­i, alcuni dei quali - si legge nel rapporto - «presumibil­mente si affacciano occasional­mente sui mercati internazio­nali». Sono al contrario i grandi esportator­i a muovere i grandi numeri: chi vende all’estero almeno 15 milioni di euro ha contribuit­o per quasi tre quarti all’incremento dell’export nell’ultimo anno. Non è quindi un caso che, soprattutt­o a loro, si rivolga il programma “Alti Potenziali” ideato da Ice e ministero dello Sviluppo per sostenere consulenze mirate all’espansione all’estero.

Non andrebbe però sottovalut­ata nelle politiche di sostegno tutta la zona grigia che sembra ancora troppo timida quando si parla di export. Mancano all’appello, come detto, soprattutt­o i rappresent­anti del made in Italy di fascia media, quelli il cui fatturato all’export si posiziona tra 250mila e 15 milioni. Nel 2015, in questa categoria, gli esportator­i sono stati poco più di 45.800 in calo rispetto agli oltre 46mila del 2014. È (anche) a questo serbatoio che il made in Italy dovrà attingere per riprendere un disegno lineare di crescita sui mercati esteri, senza stop and go e senza eccessivi timori da shock geopolitic­i.

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