La priorità, completare l’unione bancaria
Con una breve dichiarazione – non una parola di più, non una di meno, come è nel suo stile – il cancelliere tedesco Angela Merkel ha impresso martedì una svolta alla discussione sulle turbolenze sul sistema bancario che hanno i nvestito soprattutto gli istituti italiani. «Sono convinta – ha detto la signora Merkel – che la questione verrà risolta nel modo giusto». Il suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, normalmente non il più tenero dei negoziatori, ha espresso a sua volta una posizione aperturista.
Ci sono diverse ragioni per la linea di Berlino, la prima delle quali è che, dopo il voto a favore di Brexit, il Governo tedesco non vuole vedere un nuovo focolaio di instabilità, politica e finanziaria, in Italia. Per quanto riguarda la politica, la preoccupazione maggiore riguarda il referendum di ottobre e la possibilità di perdere in Europa una spalla come Matteo Renzi, dopo aver già perduto David Cameron. Quanto alla finanza, il cancelliere e soprattutto il ministro delle Finanze sanno che un nuovo terremoto bancario non lascerebbe indenni le banche tedesche.
Via libera, quindi, seppure condizionato al rispetto delle regole, a un accordo fra Roma e Bruxelles che risolva le difficoltà delle banche italiane che ne hanno bisogno. Nell’emergenza, nel corso di tutta la crisi dell’eurozona, dal 2010 in poi, la signora Merkel ha sempre agito. Quasi sempre però lo ha fatto concedendo il minimo e all’ultimo momento possibile. Questo modus operandi ha dei costi, come ha dimostrato il caso della Grecia. Inoltre, raramente, nella gestione della crisi a guida tedesca, questo ha consentito di guardare al passo successivo, di avere una veduta lunga di dove l’eurozona dovrebbe andare.
Se un accordo fra la Commissione europea e il Governo italiano può risolvere la questione più urgente sul fronte bancario, lascia però intatti tutti i problemi di lungo periodo del sistema europeo. E il più grave di questi è un’unione bancaria largamente incompiuta.
La vigilanza è stata messa in comune, con risultati in genere giudicati buoni, e la risoluzione delle banche in crisi è stata anch’essa messa in comune, anche se non è stata dotata per ora delle risorse necessarie. Ma, soprattutto, manca all’unione bancaria la terza gamba rappresentata da uno schema di assicurazione comune dei depositi. E manca per la decisa opposizione tedesca.
Se la signora Merkel avrà la capacità di guardare alle difficoltà delle banche, non solo italiane, su un orizzonte più lungo, si renderà conto che si tratta di un elemento essenziale e che va affrontato subito, prima che si configuri la prossima emergenza. Il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, che da tempo insiste su questo punto, si è spinto a dire che l’assenza di una garanzia comune sui depositi mette addirittura in discussione il concetto stesso di moneta unica. Certamente, è un fattore di incertezza, che si aggiunge ai molti che già agitano i mercati finanziari e li spingono a mettere nel mirino soprattutto le banche. È singolare del resto che le banche debbano essere sottoposte a una vigilanza europea, ma poi tocchi a singoli Paesi far fronte alla responsabilità di garantire i depositi.
Quando, in un editoriale del direttore Roberto Napoletano del 25 giugno, il Sole 24 Ore sollecitava l’Europa a svegliarsi, si riferiva a interventi d’emergenza per evitare che la turbolenza di mercato si trasformasse in crisi bancaria e a interventi di lungo periodo da applicare a riforme che assicurino una vera stabilità, come la struttura dell’unione bancaria.
Fin dal suo primo intervento, il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, ha insistito su due priorità: l’aumento della produttività della nostra economia e il completamento dell’unione bancaria. Le due azioni si rafforzano a vicenda: la prima è un compito soprattutto nazionale, passa anche per una forte decontribuzione e detassazione dei premi aziendali, ed è soprattutto indispensabile a un Paese come il nostro a bassissima crescita da troppo tempo e, in particolare, a crescita potenziale attorno allo zero, come ha stimato il Fondo monetario. Ma senza la seconda, che è invece un compito europeo, anche l’attuazione della prima rischia di non dispiegare a sufficienza i propri effetti. Se l’azione della Bce infatti ha sbloccato parzialmente il credito, lo stesso Draghi ammette che questo non è ancora sufficiente a un rilancio della crescita. E il completamento dell’unione bancaria è un elemento essenziale a normalizzare il credito, una volta messa alle spalle la soluzione dei problemi urgenti delle banche, che non è più procrastinabile e verso la quale ora spinge anche la signora Merkel.