Mafia, morto il boss Bernardo Provenzano
Il boss mafioso Bernardo Provenzano è morto a 83 anni a Milano dove, malato da tempo, era ricoverato nel reparto detenuti dell’ospedale San Paolo.
Angelo Siino, il cosiddetto ministro dei lavori pubblici di Cosa nostra, diceva che da Bagheria a Palermo – il regno di Bernardo Provenzano capo mandamento di Corleone – Binnu u tratturi aveva fatto ricchi tutti.
Con il suo metodo “inclusivo” che ammaliava il circuito imprenditoriale e se lo faceva amico per sfruttarne appieno la ragnatela delle conoscenze e dei rapporti, aveva fatto riempire le tasche degli agricoltori che intascavano i fondi statali, regionali e poi della Ue anche quando non dovevano incassarli. In una catena economica perversa, quei profitti vennero riversati in buona parte nel sacco edilizio di Palermo e negli scempi edilizi in provincia e da qui in una filiera infinita, nella sanità, nel commercio, nei grandi appalti, nell’igiene urbana.
Il “ragioniere” – come veniva anche chiamato non a caso – aveva capito che il metodo di Totò Riina non poteva funzionare a lungo. Totò o curtu era solito imporre una tangente sugli appalti del 2% che andava ai politici. Una pari percentuale finiva nelle tasche delle famiglie di Cosa nostra e ai finti servitori dello Stato nelle commissioni di appalto, in quelle di controllo o di verifica e l’1% circa finiva direttamente nelle sue tasche.
Troppo “invasivo” per durare. E così non c’è da sorprendersi se Antonino Giuffrè, ritenuto un importante collaboratore di giusti- zia, in un’udienza dibattimentale il 28 febbraio 2003 partirà con l’illustrare il “sistema Provenzano” partendo dalle basi.
Giuffrè dirà ai pm: «È un discorso normale, tu stai facendo un lavoro nella mia zona, stai guadagnando soldi, devi pagare il 2%. Tutti sono tenuti al versamento. Siano uomini d’onore o imprese vicine a uomini d’onore. Questo è il sistema basilare, uno dei pilastri fondamentali di Cosa nostra». Poi, però, si addentrerà nello specifico: «Le imprese per Provenzano sono di vitale importanza, non solo per un punto di vista meramente economico ma per un fatto che va anche oltre. Ciò che interessa a Provenzano è avere contatti con persone importanti, gestire il potere. Cioè avere queste persone nelle mani significa raggiungere determinati obiettivi anche lontani, anche inimmaginabili perché ogni impresa ha le sue conoscenze e appositamente sfruttando queste imprese, queste conoscenze, ha un potere nelle mani molto ma molto importante».
Quando Provenzano venne arrestato, dopo un lunghissimo periodo di latitanza, nel covo vennero trovati diversi “pizzini”, l’unico sistema attraverso il quale comunicava, lui che era diffidente anche della propria ombra. Impossibile o quasi classificarne l’importanza – ciascuno aveva la sua valenza criminale – ma molti riguardavano il mondo imprenditoriale al quale, secondo la sua filosofia, non bisognava rivolgersi con atti violenti o intimidazioni. Nossignori. I pizzini contene- vano l’elenco delle raccomandazioni da fare o ricevere, della volontà di mettersi in regola con la tangente o della disponibilità di assumere personale, accondiscendere alla guardiania indicata o alle forniture di beni o servizi concordate. Non è un caso che Confindustria Sicilia, all’epoca, dichiarò che con l’arresto di Provenzano prima e dei Lo Piccolo poi si stavano riconquistando libertà e spazi di azione fino a quel momento preclusi.
Provenzano non tralasciava nulla nel suo metodo ragionieristico ed è forse anche per questo che i beni che ha accumulato attraverso prestanome, sono stati in minima parte sequestrati o confiscati. Non lasciava al caso il pizzo neppure sulla variante a un’opera stradale e aveva una scientifica capacità di infiltrarsi nelle risorse statali, regionali ed europee. Il 17 gennaio 2001 l’allora presidente della Camera Luciano Violante, durante la visita a una scuola di Brancaccio, disse chiaro e tondo che la competitività delle imprese e lo sviluppo socioeconomico dell’isola si legavano a doppio filo a quell’uomo che all’epoca era ancora latitante: «Co- sa c’entra la competitività con un contadino di Corleone mafioso e latitante da 30 anni? - si domandò retoricamente Violante – È il cuore del problema che ho sollevato. Nei prossimi anni saranno investiti in Sicilia 16mila miliardi. Sono fondi comunitari dell’Agenda 2000 che potrebbero rivoluzionare positivamente tutta la Sicilia. La Sicilia potrebbe diventare la grande piattaforma economica, l’incrocio dei traffici e dei commerci. Quale Sicilia? Una Sicilia in cui il tessuto economico finanziario è finito nelle mani di Cosa nostra di Provenzano o una Sicilia e un’Italia che hanno compreso come le questioni della legalità e della competitività sono facce della stessa medaglia?»
Rilette, 15 anni dopo, quelle considerazioni e l’evoluzione dell’economia criminale, si può concludere che la Sicilia e l’Italia hanno perso un’occasione unica di sviluppo e non è difficile capire il perché: il metodo ragionieristico e inclusivo di Provenzano è stato raffinato da chi ne ha seguito lee ormorme.
I PIZZINI Ne furono trovati diversi quando Provenzano venne arrestato , dopo una lunga latitanza. Era l’unico sistema di comunicazione che usava