Il Sole 24 Ore

Mafia, morto il boss Bernardo Provenzano

- con l’analisi di Roberto Galullo

Il boss mafioso Bernardo Provenzano è morto a 83 anni a Milano dove, malato da tempo, era ricoverato nel reparto detenuti dell’ospedale San Paolo.

Angelo Siino, il cosiddetto ministro dei lavori pubblici di Cosa nostra, diceva che da Bagheria a Palermo – il regno di Bernardo Provenzano capo mandamento di Corleone – Binnu u tratturi aveva fatto ricchi tutti.

Con il suo metodo “inclusivo” che ammaliava il circuito imprendito­riale e se lo faceva amico per sfruttarne appieno la ragnatela delle conoscenze e dei rapporti, aveva fatto riempire le tasche degli agricoltor­i che intascavan­o i fondi statali, regionali e poi della Ue anche quando non dovevano incassarli. In una catena economica perversa, quei profitti vennero riversati in buona parte nel sacco edilizio di Palermo e negli scempi edilizi in provincia e da qui in una filiera infinita, nella sanità, nel commercio, nei grandi appalti, nell’igiene urbana.

Il “ragioniere” – come veniva anche chiamato non a caso – aveva capito che il metodo di Totò Riina non poteva funzionare a lungo. Totò o curtu era solito imporre una tangente sugli appalti del 2% che andava ai politici. Una pari percentual­e finiva nelle tasche delle famiglie di Cosa nostra e ai finti servitori dello Stato nelle commission­i di appalto, in quelle di controllo o di verifica e l’1% circa finiva direttamen­te nelle sue tasche.

Troppo “invasivo” per durare. E così non c’è da sorprender­si se Antonino Giuffrè, ritenuto un importante collaborat­ore di giusti- zia, in un’udienza dibattimen­tale il 28 febbraio 2003 partirà con l’illustrare il “sistema Provenzano” partendo dalle basi.

Giuffrè dirà ai pm: «È un discorso normale, tu stai facendo un lavoro nella mia zona, stai guadagnand­o soldi, devi pagare il 2%. Tutti sono tenuti al versamento. Siano uomini d’onore o imprese vicine a uomini d’onore. Questo è il sistema basilare, uno dei pilastri fondamenta­li di Cosa nostra». Poi, però, si addentrerà nello specifico: «Le imprese per Provenzano sono di vitale importanza, non solo per un punto di vista meramente economico ma per un fatto che va anche oltre. Ciò che interessa a Provenzano è avere contatti con persone importanti, gestire il potere. Cioè avere queste persone nelle mani significa raggiunger­e determinat­i obiettivi anche lontani, anche inimmagina­bili perché ogni impresa ha le sue conoscenze e appositame­nte sfruttando queste imprese, queste conoscenze, ha un potere nelle mani molto ma molto importante».

Quando Provenzano venne arrestato, dopo un lunghissim­o periodo di latitanza, nel covo vennero trovati diversi “pizzini”, l’unico sistema attraverso il quale comunicava, lui che era diffidente anche della propria ombra. Impossibil­e o quasi classifica­rne l’importanza – ciascuno aveva la sua valenza criminale – ma molti riguardava­no il mondo imprendito­riale al quale, secondo la sua filosofia, non bisognava rivolgersi con atti violenti o intimidazi­oni. Nossignori. I pizzini contene- vano l’elenco delle raccomanda­zioni da fare o ricevere, della volontà di mettersi in regola con la tangente o della disponibil­ità di assumere personale, accondisce­ndere alla guardiania indicata o alle forniture di beni o servizi concordate. Non è un caso che Confindust­ria Sicilia, all’epoca, dichiarò che con l’arresto di Provenzano prima e dei Lo Piccolo poi si stavano riconquist­ando libertà e spazi di azione fino a quel momento preclusi.

Provenzano non tralasciav­a nulla nel suo metodo ragionieri­stico ed è forse anche per questo che i beni che ha accumulato attraverso prestanome, sono stati in minima parte sequestrat­i o confiscati. Non lasciava al caso il pizzo neppure sulla variante a un’opera stradale e aveva una scientific­a capacità di infiltrars­i nelle risorse statali, regionali ed europee. Il 17 gennaio 2001 l’allora presidente della Camera Luciano Violante, durante la visita a una scuola di Brancaccio, disse chiaro e tondo che la competitiv­ità delle imprese e lo sviluppo socioecono­mico dell’isola si legavano a doppio filo a quell’uomo che all’epoca era ancora latitante: «Co- sa c’entra la competitiv­ità con un contadino di Corleone mafioso e latitante da 30 anni? - si domandò retoricame­nte Violante – È il cuore del problema che ho sollevato. Nei prossimi anni saranno investiti in Sicilia 16mila miliardi. Sono fondi comunitari dell’Agenda 2000 che potrebbero rivoluzion­are positivame­nte tutta la Sicilia. La Sicilia potrebbe diventare la grande piattaform­a economica, l’incrocio dei traffici e dei commerci. Quale Sicilia? Una Sicilia in cui il tessuto economico finanziari­o è finito nelle mani di Cosa nostra di Provenzano o una Sicilia e un’Italia che hanno compreso come le questioni della legalità e della competitiv­ità sono facce della stessa medaglia?»

Rilette, 15 anni dopo, quelle consideraz­ioni e l’evoluzione dell’economia criminale, si può concludere che la Sicilia e l’Italia hanno perso un’occasione unica di sviluppo e non è difficile capire il perché: il metodo ragionieri­stico e inclusivo di Provenzano è stato raffinato da chi ne ha seguito lee ormorme.

I PIZZINI Ne furono trovati diversi quando Provenzano venne arrestato , dopo una lunga latitanza. Era l’unico sistema di comunicazi­one che usava

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy