Mafia, è morto Provenzano
Il capomafia, dopo la latitanza, era stato catturato nel 2006 - Il sindaco di Corleone: «La sua morte è una liberazione» Il boss, malato da tempo, era detenuto al 41 bis a Milano - Vietati funerali pubblici
È stato per 43 anni un’ombra. E negli ultimi dieci, da quando l’11 aprile 2006 è stato arrestato nel casolare fetido di Montagna dei Cavalli a Corleone, un muto. Il boss Bernardo Provenzano, morto ieri a 83 anni, 53 dei quali trascorsi tra latitanza e carcere, è stato l’uomo delle strategie mafiose, il fido luogotenente del macellaio Totò Riina, il teorico di una mafia silente e affarista, l’addetto alle relazioni istituzionali dei mafiosi corleonesi grazie al suo compaesano don Vito Ciancimino, e poi interlocutore fidato di apparati dello Stato.
È morto a Milano, nel reparto per detenuti dell’ospedale San Paolo dove era stato ricoverato il 9 aprile 2014, proveniente dal centro clinico degli istituti penitenziari di Parma: in carcere aveva subito una brutta caduta ma da anni gli era stato diagnosticato un cancro alla vescica. Negli ultimi anni aveva man mano perso lucidità tanto da non poter essere presente al processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia in cui il suo era un ruolo centrale perché anche attorno alla sua latitanza sarebbero stati stretti, secondo l’accusa, patti scellerati tra pezzi dello Stato e mafiosi e della presunta trattativa lui sarebbe stato il regista: da più di un anno diverse perizie lo avevano indicato come poco più di un vegetale ma era rimasto recluso al regime del 41 bis. «Per me - dice il suo avvocato Rosalba Di Gregorio, che ha chiesto più volte per Provenzano la revoca del carcere duro e la sospensione della pena - è morto quattro anni fa, dopo la caduta nel carcere di Parma e l’intervento che ha subito».
La moglie Saveria Palazzolo e i figli Angelo e Paolo lo avevano visto per l’ultima volta il 10 luglio e si erano resi conto delle pessime condizioni del congiunto: speravano di rivederlo ma è arrivata la notizia della morte. «Le condizioni di Provenzano si sono aggravate ulteriormente venerdì scorso a causa di un’infezione polmonare - ha spiegato ieri Roberto Piscitello, direttore generale dei detenuti e del trattamento - è entrato in coma irreversibile lo stesso giorno. I sanitari dell’ospedale di Milano, d’accordo con il Dap, hanno avvertito i familiari che sono arrivati e hanno potuto usufruire di un incontro col loro congiunto». Due giorni fa il giudice di sorveglianza di Milano aveva detto no alla richiesta di scarcerazione di Provenzano sostenendo, tra l’altro, che i suoi «trascorsi criminali» e il «valore simbolico del suo percorso criminale» lo avrebbero esposto, «qualora non adeguatamente protetto nella persona» e «trovandosi in condizioni di assoluta debolezza fisica», a «eventuali rappresaglie connesse al suo percorso criminale». Ieri il pm di turno di Milano Alessandro Gobbis per fugare ogni dubbio sulle cause della morte del boss, ha disposto l’autopsia: è un atto dovuto e l’esame sarà effettuato oggi o al massimo domani all’Istituto di medicina legale di Milano dove la salma è stata trasferita. Provenzano era stato male anche da latitante: è ormai agli atti dei processi l’intervento da lui subito a Marsiglia per un tumore alla prostata ed è materia di mistero la morte dell’urologo di Barcellona Pozzo di Gotto Attilio Manca, la cui colpa sarebbe stata quella di aver visitato Binnu e per questo sarebbe stato eliminato.
Negli ultimi tempi «sembrava un vecchietto inoffensivo» hanno raccontato gli infermieri dell’ospedale ai cronisti. Ma quell’uomo, l’ombra di quello che fu un potente della mafia stragista di Corleone, è stato prima Binnu u tratturi, per la sua capacità di passare sopra le persone come un trattore appunto, poi u ragioniere, il finissimo stratega di una nuova mafia, inabissata ma sempre potente, il teorico del mutamento criminale dopo gli anni cruenti della guerra allo Stato voluta da Totò u curtu e da Provenzano non sempre condivisa: dopo le stragi del 1992, ma prima dell’avvio delle stragi del Continente del 1993, Provenzano riporta la famiglia a Corleone, dando così un segnale preciso. C’è chi sostiene anche che sia stato lui a “vendere” Totò Riina ai carabinieri, anche se il “capo dei capi” non ha mai voluto (almeno apparentemente) credere a questa versione. Chi ha incontrato in carcere Binnu, come l’allora presidente della commissione parlamentare Antimafia del Parlamento Ue Sonia Alfano, afferma che Binnu era sul punto di pentirsi e che dunque sarebbe stato fermato. Ancora misteri. Dice il presidente del Senato Piero Grasso, a capo della procura di Palermo quell’11 aprile del 2006: «Porta con sé tanti misteri, pezzi di verità che abbiamo il dovere di continuare a cercare». E mentre il sindaco di Corleone Lea Savona dice che la «morte di Provenzano è il nostro 25 aprile», il questore di Palermo Guido Longo assicura: non ci saranno funerali pubblici per il boss corleonese.