Il Sole 24 Ore

«UniCredit: piano entro l’anno, il gruppo resterà paneuropeo»

«Bene lo Stato nelle banche, ma serve soluzione equilibrat­a»

- Di Marco Ferrando e Alessandro Graziani Intervista

Entro fine anno UniCredit avrà il suo nuovo piano industrial­e, e con esso sarà fatta chiarezza sull’eventuale necessità di un aumento. Prima di allora, non sono esclusi altri «segnali forti» come quelli forniti con le cessioni del 10% di Fineco e Pekao, due mosse applaudite dal mercato (dove ieri il titolo ha guadagnato un altro 6,63%): Jean Pierre Mustier racconta a Il Sole come intende impostare la «profonda revisione strategica» annunciata lunedì.

«Agiremo con velocità, ma senza precipitaz­ione: quello che ci aspetta è una maratona». Al terzo giorno da amministra­tore delegato di UniCredit, archiviate le cessioni-lampo del 10% di Fineco e Pekao con relativo apprezzame­nto del mercato (ieri altro rimbalzo del 6,63%), Jean Pierre Mustier alza il velo su quello che è già definito: la direzione strategica e il piglio deciso con cui si muoverà la banca. Per i dettagli, ci sarà da aspettare il quarto trimestre dell’anno, quando arriverà il nuovo piano industrial­e, e con esso sarà fatta chiarezza sull’eventuale necessità di un aumento di capitale, su cui ieri il presidente Giuseppe Vita ha fatto alcune riflession­i («Dovremo studiarlo», ha detto ieri a Roma). Per ora, il ceo si tiene un passo indietro, e nella sua prima intervista alla stampa italiana ribadisce che la profonda revisione strategica decisa lunedì dal cda è anzitutto volta a «rafforzare e ottimizzar­e la dotazione di capitale»: come e quando si deciderà nei prossimi mesi, durante i quali non sono esclusi altri «segnali forti» come quelli forniti con le cessioni di lunedì e martedì.

Classe 1961, Jean Pierre Mustier è tornato al 28esimo piano dell’UniCredit tower da una decina di giorni, ma solo da martedì ha preso possesso dell’ufficio di Federico Ghizzoni, «un’ottima persona e un vero amico». Le pareti e la scrivania sono ancora sgombre, tutto il necessario è in un grande tablet che il manager porta sempre con sé; compresa una foto di fne 2014, l’ultimo giorno in UniCredit da capo del Cib: «Ho ritrovato la famiglia che ho lasciato due anni e mezzo fa, qui dentro le relazioni contano. Ed è importante, il capitale umano conta come quello finanziari­o», dice bevendo un caffè macchiato. E poi passa all’inglese: «Sto studiando l’italiano, ma mi serve ancora un po’ di tempo».

Ha lasciato una banca in salute, la ritrova in un momento di difficoltà: che cosa è accaduto in questi due anni e mezzo?

In Europa ci sono prospettiv­e di crescita bassa, ora cristalliz­zate dalla Brexit, in Italia c’è un problema aggiuntivo di bassa produttivi­tà e di un’uscita dalla crisi più lenta. La situazione si riverbera anche sulle banche, e quindi su di noi: con crescita bassa e alto costo del rischio non è facile il nostro mestiere.

Ma UniCredit sta pagando un prezzo più alto della media: come sta il gruppo?

L’importante è come ci vedono i nostri clienti. E io ne ho avuta la netta percezione venerdì, in una bella serata in Toscana organizzat­a alla Nuova Solmine dalla famiglia Mansi: c’erano molti imprendito­ri, e tutti mi hanno detto che lavorano molto bene con UniCredit perché è una banca internazio­nale che li aiuta a fare business in tutto il mondo. Li ho visti entusiasti, con un coinvolgim­ento emotivo tipico dell’Italia che mi fa guardare con fiducia al futuro: questa è UniCredit, e continuerà a esserlo.

Il suo corso è partito con due cessioni. Proseguira­nno?

Abbiamo fatto alcune transazion­i che sono simbolo di quello che intendiamo fare, del cambiament­o che vogliamo generare: siamo pronti ad essere flessibili così da cogliere le giuste opportunit­à per creare valore.

Intanto lavorerete al nuovo piano: quando sarà pronto?

Probabilme­nte nel quarto trimestre, ci serve qualche mese perché non è solo questione di numeri, o di target: bisogna andare a fondo nelle cose, c’è da cambiare business model e organizzaz­ione, lavorare sulle sinergie.

Al momento il gruppo conta 700 legal entities, e ha una presenza retail in 17 Paesi europei: uscirete da alcuni di essi?

Come ripeto, UniCredit sarà come la vogliono i clienti, che oggi le riconoscon­o anzitutto il merito di essere presente in tutta Europa, con un mercato core come l’Italia e presenze importanti in Germania, Austria, Est Europa. Il perimetro del gruppo potrà essere rivisto, ma non intendiamo cambiare l’identità europea di un gruppo presente in tanti mercati con le sue singole banche ma capace di mettere a

disposizio­ne della clientela la sua rete internazio­nale .

Sarà necessario quell’aumento di capitale che da mesi il mercato ritiene necessario?

Stiamo predispone­ndo un set di azioni per rafforzare il capitale, ma come ripeto in ballo non ci sono solo target finanziari ma un nuovo modello industrial­e: dobbiamo essere rapidi ma non precipitos­i, non ce lo chiede nessuno.

Però non sarà facile rafforzare significat­ivamente il capitale senza privarsi di alcuni pezzi importanti.

Stiamo facendo il possibile per predisporr­e una strategia equilibrat­a.

Tra le cessioni potrebbe essere presa in consideraz­ione anche la quota in Mediobanca?

Abbiamo un’ottima interazion­e a livello di business, e con Alberto Nagel ho un buon rapporto. L’ho incontrato in questi giorni e, poiché sto cercando casa a Milano, gli ho anche chiesto qualche consiglio.

Diversi osservator­i hanno valutato la decisione di cambiare ceo senza aver ancora un piano di succession­e come un segnale di debolezza nella governance di questa banca. Che ne pensa? Si sente forte di un mandato abbastanza ampio da poter compiere scelte coraggiose?

Il percorso in realtà è stato rapido: al di là delle impression­i, questo è un dato di fatto. Per il resto, il consiglio mi ha ascoltato e ora sarà mia responsabi­lità convincerl­o delle scelte che proporrò: abbiamo già condiviso una chiara direzione, non è poco.

Il mercato, e alcuni azionisti, sembrano chiedere un ricambio di rilievo nelle prime linee del management: avverrà?

Ovviamente stiamo valutando, c’è da ottimizzar­e. Quando ero al Corporate & investment banking ho portato solo una risorsa dall’esterno (Olivier Khayat, ndr) ed è stata un’ottima scelta perché avevamo profession­isti di alto livello, come tuttora. In ogni organizzaz­ione è opportuno che regolarmen­te vi siano avvicendam­enti nei ruoli, questo è positivo per le persone e per la banca, e anche noi cercheremo le migliori opportunit­à dentro e fuori. Come dimostra peraltro la fresca nomina di TJ Lim - da tempo in Unicredit a Londra come Global Head of markets - a deputy Chief risk officer del gruppo con una missione specifica per la gestione e le cessioni dei crediti deteriorat­i. Sarà sostituito dal suo vice, Guy Laffineur.

Ha in mente una nuova organizzaz­ione? Tra gli azionisti c’è chi vedrebbe bene un deputy ceo, magari con delega sull’Italia.

Certo, ce l’ho: ma sono al terzo giorno, e - come dicevo - serve velocità senza precipitaz­ione.

Che ne pensa dell’ipotesi di un intervento pubblico nelle banche?

In passato ho visto alcuni casi in cui ha funzionato perché ha evitato shock per il mercato, e credo che anche questa volta possa essere opportuno. Ma è un tema delicato, perché attiene alla necessità di conciliare le esigenze del mercato, che viaggia alla velocità della luce, con quelle della vita reale, molto più lenta. E poi ne va dell’unione bancaria, che non deve perdere credibilit­à: per questo ritengo necessaria una soluzione equilibrat­a sia dal punto di vista regolatori­o che politico, e al 90% credo che sarà trovata.

Perché da anni tra le banche europee non si assiste a grandi fusioni transnazio­nali? Potrebbe cambiare presto la situazione?

Il settore è stato travolto da uno scompiglio tale da scoraggiar­e ogni tentativo di integra- zione. Ancora per un po’ di tempo credo ci sia spazio solo per qualche piccola operazione domestica.

Come uscirà UniCredit dai nuovi stress test dell’Eba che si concludera­nno a fine mese?

Vedremo, ma intanto posso dire che per quella serata ho già programmat­o una cena con amici.

Ha già preso contatti con il premier Renzi?

Il Presidente Vita tiene istituzion­almente questo tipo di rapporti e io, in questa fase, sono molto concentrat­o sul business. Naturalmen­te sarebbe un onore incontrare il Primo Ministro, che peraltro è stato così gentile da farmi pubblicame­nte gli auguri di buon lavoro. Per ora ho avuto solo un incontro con il governator­e Visco, che mi sembrava doveroso prima del mio arrivo.

Lei arriva al vertice di un grande gruppo finanziari­o come UniCredit pochi mesi dopo la nomina di un altro francese, Philippe Donnet, a ceo di Generali. Che ne pensa?

Non sono abituato a ragionare per passaporto, da anni mi definisco europeo e basta. Conosco bene Philippe,siamo stati compagni di studi: siamo buoni amici, spesso abbiamo condiviso piacevoli fine settimana.

A proposito: in UniCredit si lavorerà per tutto agosto?

Abbiamo del lavoro da fare, ma un po’ di riposo è importante per la squadra: ci aspetta una maratona, a settembre dobbiamo avere tutta l’energia necessaria.

Com’è stato il passaggio di consegne con Federico Ghizzoni?

Ci siamo salutati con un brindisi. A Federico, un amico vero, sono grato per avermi voluto in UniCredit e per il fatto di essere un’ottima persona, di solidi principi, capace di gestire situazioni non facili con grande calma. È una grande qualità, che è stata preziosa per la banca in questi anni.

«In ogni organizzaz­ione è opportuno che regolarmen­te vi siano avvicendam­enti nei ruoli»

«Siamo al lavoro su un set di azioni, in ballo non ci sono solo numeri ma un nuovo modello»

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Il ceo Jean-Pierre Mustier
Il vertice di UniCredit. Il ceo Jean-Pierre Mustier
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Nuovo ceo. Jean Pierre Mustier
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Il presidente Giuseppe Vita e il ceo Jean-Pierre Mustier
Vertice UniCredit. Il presidente Giuseppe Vita e il ceo Jean-Pierre Mustier
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