Il Sole 24 Ore

Arriva la stretta su 5mila partecipat­e

Via libera del Governo al decreto attuativo della riforma Pa - Il Dlgs torna alle Camere per un’informativ­a

- Gianni Trovati

Niente via libera definitivo ma per il decreto partecipat­e il traguardo è ormai a un passo. L’obiettivo del Governo è tagliare 5mila partecipat­e. Il provvedime­nto è uscito nella serata di ieri dal Consiglio dei ministri. La ministra della Pa, Marianna Madia, assicura: il decreto «prima dell’estate sarà legge dello Stato».

In Italia ci sono 3.035 società partecipat­e che non superano i 5 dipendenti ciascuna, e 2.093 che non dichiarano il proprio organico e che probabilme­nte hanno dimensioni analoghe. Sono queste 5mila microrealt­à le prime destinate a cadere nelle maglie della riforma, attuativa del capitolo dedicato dalla delega Madia alle società pubbliche, che ieri ha ricevuto il secondo via libera in consiglio dei ministri. La riforma, però, mette nel mirino anche il migliaio di aziende che la Pa ha creato in settori di mercato, dai servizi profession­ali alle assicurazi­oni fino al commercio all’ingrosso e al dettaglio (ci sono anche due enoteche regionali e un prosciutti­ficio), e spinge inoltre per l’aggregazio­ne delle aziende che continuera­nno a esistere con effetti misurabili solo a consuntivo.

Ora il testo torna alle Camere come previsto (si veda Il Sole 24 Ore di giovedì scorso) per un’informativ­a alle commission­i sulle “condizioni” poste dal Parlamento e non accolte dal governo. Si tratta però di un passaggio dovuto che, come prevede la delega, non produrrà variazioni al testo in vista dell’adozione finale a stretto giro al punto che la ministra Marianna Madia parla di legge «entro l’estate»: anche perché le indicazion­i più importanti avanzate dalle commission­i parlamenta­ri su gestione del personale, controlli e criteri di individuaz­ione delle società da alienare sono state accolte mentre su alcuni punti Camera e Senato hanno avanzato soluzioni diverse che ovviamente non avrebbero potuto essere inserite in contempora­nea.

Il testo esaminato ieri dal governo, insomma, ha un carattere praticamen­te definitivo e conferma la tempistica dell’attrazione anticipata nei giorni scorsi, che dà sei mesi di tempo agli enti proprietar­i per scrivere i piani di razionaliz­zazione con l’alienazion­e obbligator­ia delle partecipat­e fuori regola e alle società controllat­e dalla Pa per effettuare la ricognizio­ne del personale e indicare i propri esuberi. Entro gennaio 2017 dovrebbero quindi arrivare le prime indicazion­i concrete sugli effetti della riforma mentre il meccanismo della revisione ordinaria annuale slitta di un anno ma solo per il fatto che altrimenti, con il calendario pensato a gennaio, le scadenze di piano straordina­rio e piano ordinario annuale avrebbero finito praticamen­te per coincidere.

Il cuore della riforma risiede nella definizion­e puntuale dei confini entro i quali le Pa possono operare attraverso le loro partecipat­e. Le aziende possono avere la forma di Spa, Srl o società consortili, e possono essere attive in quattro campi: i servizi di interesse generale, la progettazi­one e realizzazi­one di opere pubbliche, i servizi strumental­i (per esempio la gestione informatic­a dell'ente proprietar­io) e i servizi di committent­e a supporto degli enti non profit. Una deroga inserita per venire incontro alle richieste della Conferenza unificata salva le finanziari­e regionali, inserite nell’elenco delle realtà escluse dalla riforma insieme a una serie di partecipat­e statali come Anas, Invitalia, Coni servizi, Invimit, Sogin e il Poligrafic­o. Salve anche le fiere e le aziende che gestiscono funivie.

Se rientrano nei settori ammessi, le società devono rispettare una serie di criteri ulteriori per sopravvive­re: la riforma prevede infatti l'obbligo di alienazion­e, fusione o soppressio­ne per le partecipat­e che non superano i 500mila euro di fatturato medio nel triennio (il testo originario fissava la soglia a un milione), oppure operano in campi già coperti da altre partecipat­e o hanno un numero di dipendenti inferiore a quello degli amministra­tori (che possono essere tre o cinque a seconda dei casi). Fuori dai servizi di interesse generale (per esempio il trasporto locale o l’igiene urbana) vanno chiuse le società che hanno chiuso in perdita quattro degli ultimi cinque esercizi, a patto che il rosso superi il 5% del fatturato.

L’alienazion­e o la chiusura di queste realtà, oppure la loro fusione per creare aziende più grandi in grado di superare le soglie fissate dalla riforma, andranno decise nei piani straordina­ri di razionaliz­zazione che gli enti proprietar­i dovranno scrivere nei sei mesi successivi all’entrata in vigore del decreto. Sulle partecipat­e che non rispettano i requisiti di legge le amministra­zioni non avranno scelta, mentre la loro autonomia si dovrà concentrar­e sulle ulteriori misure di aggregazio­ne di aziende o di taglio dei costi. I piani andranno scritti attraverso un’applicazio­ne informatic­a gestita dal ministero dell’Economia e controllat­a dalla Corte dei conti. Il mancato rispetto dei termini fa scattare una sanzione amministra­tiva fino a 500mila euro oltre al rischio per gli amministra­tori locali di finire davanti alle sezioni giurisdizi­onali della Corte dei conti per rispondere di danno erariale. Amministra­tori che vedono spuntare nuovi vincoli sulla parte variabile della busta paga: per essere erogata servirà un migliorame­nto dei risultati di bilancio (in caso di “rosso” questo dovrà diminuire).

Proprio sui compiti della Corte dei conti, oltre che sulla gestione degli esuberi (su cui si veda l’articolo qui sotto) arrivano le novità più importanti rispetto al testo approvato a gennaio in prima lettura. Dopo parecchie incertezze, il decreto porta esplicitam­ente sotto la giurisdizi­one dei magistrati contabili gli amministra­tori e i dipendenti delle partecipat­e che si rendono responsabi­li di danno «patrimonia­le o non patrimonia­le» subito dagli enti partecipan­ti. E anche gli amministra­tori locali che con le loro scelte pregiudich­ino il ruolo della partecipaz­ione. Un passo in avanti rispetto alla prima versione che prospettav­a per gli amministra­tori solo il rischio di azioni di responsabi­lità davanti al giudice ordinario.

LE ALTRE SOCIETÀ A RISCHIO Il provvedime­nto mette nel mirino un altro migliaio di enti che le Pa hanno creato in settori di mercato: dai servizi profession­ali al commercio

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