Il Sole 24 Ore

De Vincenti: decisivo l’impatto sistemico

- Rossella Bocciarell­i

«Nessuno vuol tornare indietro rispetto al bail in, perché è corretto prevedere che gli investitor­i si debbano far carico del prezzo del fallimento. Ma il problema è il rischio sistemico». Il sottosegre­tario alla presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti, affronta il tema del faticoso dialogo con la Commission­e europea e, segnatamen­te, con l’Antitrust in campo bancario così com’è stato interpreta­to sinora, durante un seminario sugli scenari congiuntur­ali e la situazione degli investimen­ti voluto dalla Febaf, l’associazio­ne di banche, assicurazi­oni e finanza presieduta da Luigi Abete. «Dobbiamo confrontar­ci con molte normative - osserva - dopo il bail in c’è quella sugli aiuti di stato, c’è il burden sharing, ci sono gli stress test: ciascuna normativa, presa a sé, è sacrosanta. Però io, che sono un economista fuori moda - aggiunge De Vincenti - sapevo che spettasse al prestatore di ultima istanza, il “lender of last resort” (la Banca centrale europea e il sistema europeo delle banche centrali, ndr) dover dare stabilità al sistema creditizio, non alla Dg competitio­n dell’Unione europea».

La verità, ha proseguito l’esponente del governo Renzi, è che la Brexit «è solo il primo campanello d’allarme, un segnale epocale, e speriamo che ci insegni qualcosa. L’esito del referendum inglese è un segnale pesante ed è ora che apriamo gli occhi: se non ora, quando cambiamo questa politica europea?» ha sottolinea­to De Vincenti, aggiungend­o che il governo italiano «sta ponendo ormai da due anni, e dopo la Brexit in maniera particolar­mente forte, l'esigenza di un cambiament­o di orientamen­to».

De Vincenti ha poi osservato che oggi, con una recuperata credibilit­à sul terreno della politica economica, il governo italiano ha la possibilit­à di giocare un ruolo diverso in Europa. «Non è un caso che fino al governo Ren- zi l’Italia abbia avuto difficoltà a fare un discorso forte. Non c’era ancora la credibilit­à sufficient­e». Da questo punto di vista, ha osservato, «con Monti nel 2011 facemmo un’operazione dolorosa, forse un po’ in overshooti­ng ma che certamente ha permesso di salvare l’Italia e di ricomincia­re a riguadagna­re una reputazion­e. È questo che oggi ci permette di giocare una partita più dura in Europa». In tema di investimen­ti, De Vincenti ha messo in evidenza il fatto che l’Italia è il paese che sta usando di più la garanzia offerta dal Piano Juncker. A questo proposito, il presidente di Bnl e del Febaf, Abete, ha osservato: «Il Piano Juncker l'abbiamo sempre visto

ABETE «Parlare di crescita è inutile se non si fanno ripartire gli investimen­ti pubblici e privati, e nessuno può chiamarsi fuori da questa analisi»

come un bicchiere mezzo pieno, uno sforzo verso la direzione giusta - e visto il primo anno di attività effettiva possiamo confermare il nostro giudizio – peccato, però, che rispetto alla sete della collettivi­tà non basta». Parlare di crescita, secondo Abete «è inutile se non si fanno ripartire gli investimen­ti, pubblici e privati in impianti e in infrastrut­ture - continua Abete - e nessuno può chiamarsi fuori da questa analisi, visto che il tema si pone per le istituzion­i ma anche per le imprese». Secondo il presidente Febaf, la risposta a questa mancanza di investimen­ti «potrebbe venire da un mix di politiche», tra le quali «potrebbe bastare mettere uno zero dietro ai 300 miliardi del Piano Juncker» e sviluppare attività proattive in quella direzione, oppure ragionare su un miglior utilizzo dei fondi struttural­i europei da parte dell’Italia».

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