Il Sole 24 Ore

Ultima chance per superare il socialismo municipale

- Gianni Trovati

Come tutti gli slogan, anche quello che punta a passare “da ottomila a mille” società pubbliche va letto come indirizzo politico e non va preso alla lettera, anche perché oggi le partecipat­e sono circa 10mila e 1.200 di queste sono attive in servizi pubblici essenziali, possono essere aggregate o privatizza­te ma non certo cancellate. Questi due numeri, in ogni caso, indicano che i margini per fare pulizia sono molto ampi, e che esiste una rete fittissima di società strumental­i o di aziende attive in settori di mercato (dal commercio alle assicurazi­oni) da cui è bene che la mano pubblica si ritiri al più presto.

Se questo è il quadro, va dato atto al governo di aver tenuto il punto su due aspetti cruciali della riforma: l’indicazion­e rigida per legge dei parametri di dimensione, fatturato e risultati da raggiunger­e per evitare gli obblighi di alienazion­e, e un calendario stretto che impone di procedere in sei mesi sia al piano straordina­rio di razionaliz­zazione sia alla revisione degli organici nelle società controllat­e dalla pubblica amministra­zione. Certo, qualche smottament­o nei criteri c’è stato, il fatturato minimo viene dimezzato da un milione a 500mila euro, ma si tratta tutto sommato di dettagli che in qualche caso possono anche evitare inutili effetti collateral­i. Gli ambiti di attività possibili e i criteri da rispettare per mantenere le partecipaz­ioni rimangono fissati dalla legge, i margini di autonomia alle amministra­zioni sono lasciati solo per aggiungere interventi ulteriori di razionaliz­zazione, e non per aggirare gli obblighi, e in caso di mancata adozione dei piani sono previste sanzioni potenzialm­ente pesanti. In generale, insomma, il meccanismo sembra girare, e può condurre a qualche risultato significat­ivo.

Una certa fermezza si incontra anche sulle regole dedicate alle diffuse patologie delle partecipat­e, perché il testo conferma che anche alle società pubbliche si applichera­nno le regole ordinarie su fallimento e crisi d’impresa, e prevede una competenza abbastanza ampia della Corte dei conti per perseguire le responsabi­lità di politici locali e manager delle società.

È presto, però, per correre a conclusion­i. Lasciato passare qualche giorno di polemiche inevitabil­i fra chi voleva di più e chi invece giudica troppo rigide le nuove norme, arriverà per la riforma il “tempo ordinario”, lontano dal dibattito pubblico ma al centro del l’agenda degli uffici. La sfida vera si gioca lì, e non saranno poche le resistenze più o meno nascoste da parte degli enti locali proprietar­i e dei sindacati. A Governo e Corte dei conti spetta il compito di combatterl­e, ma anche di garantire una transizion­e ordinata soprattutt­o sul tema delicato del personale, che unisce giustifica­ti allarmi sociali e difese corporativ­e e strumental­i. Il rischio, altrimenti, è quello di fare l’ennesimo buco nell’acqua, che dopo quello già prodotto dal governo Monti sulle società strumental­i e del piano Cottarelli sostanzial­mente “espulso” dalla manovra 2014 finirebbe per minare del tutto la credibilit­à della stessa ipotesi di riforma del settore.

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