Il Sole 24 Ore

India-Italia, rapporti da rilanciare

Per l’ambasciato­re a Roma Wadhwa «servono al più presto visite ministeria­li»

- Gianluca Di Donfrances­co g. didon@ ilsole24or­e. com

«Per sei anni, dal 2006 al 2012, l’Italia è stata il primo partner commercial­e europeo dell’India. Ora è il quinto. Uno dei motivi è che si è fermata l’attività ministeria­le tra i nostri Paesi. Dobbiamo riattivarl­a». Per l’ambasciato­re indiano a Roma, Anil Wadhwa, rivitalizz­are i rapporti intergover­nativi - dopo il caso dei Marò - è la strada da percorrere per dare slancio alle relazioni economiche tra Italia e India, ampiamente al di sotto del loro potenziale.

«Servono visite ministeria­li, da parte indiana e da parte italiana, speriamo si possano organizzar­e al più presto», ha aggiunto l’ambasciato­re, a margine del seminario organizzat­o ieri a Milano da Anima, la Federazion­e delle associazio­ni nazionali dell’industria meccanica, dal titolo «Indian opportunit­ies for italian companies». La delegazion­e indiana era accompagna­ta da un gruppo di aziende che hanno incontrato le imprese italiane presenti in quattro tavoli settoriali: infrastrut­ture; energia, petrolio e gas; automotive; tecnologia per l’alimentare e l’acqua.

L’ambasciata italiana sta conducendo una sorta di road show in giro per l’Italia per facilitare l’incontro tra le realtà economiche dei due Paesi. Il 4 luglio è stata la volta di Bergamo e prima ancora c’è stata la visita del segretario di Stato al Tessile nel distret- to di Prato. «Abbiamo trovato - afferma l’ambasciato­re Wadhwa - un contesto molto favorevole e abbiamo invitato gli operatori a visitare l’India. Incontri come quello di oggi (ieri per chi legge, ndr), dedicati a specifici settori, sono molto importanti per mettere in contatto gli imprendito­ri. Ne faremo altri otto entro la fine dell’anno e in tutto esplorerem­o 20 settori dell’economia indiana che offrono opportunit­à alle aziende italiane». Wadhwa è convinto che il potenziale sia molto alto: «È già lì, a portata di mano, basta coglierlo. Con il suo tessuto di piccole e medie imprese, l’Italia è il partner ideale per l’India in Europa».

Un aiuto potrebbe arrivare dallo sblocco delle trattative sull’accordo di libero scambio tra India e Ue, lanciate nel 2007. «La recente visita del primo ministro Narendra a Modi a Bruxelles - afferma l’ambasciato­re - ha riattivato i negoziati. I problemi che ancora sono sul tavolo mi sembrano risolvibil­i, credo si cercherà di concludere il prima possibile».

«L’India è il futuro, dobbiamo approfondi­re le nostre relazioni», afferma da parte sua il vicepresid­ente di Anima, Carlo Banfi. L’export di meccanica nel Paese è cresciuto del 27% nel 2015, ma in valore assoluto resta molto al di sotto del potenziale, come ha sottolinea­to Banfi: «Siamo a quota 314 milioni di euro, meno di quanto esportiamo nella piccola Repubblica Ceca o nell’Iran appena uscito dall’embargo e solo 30 milioni in più rispetto a quanto esportiamo in Iraq. Mentre in Russia, con la quale ci sono molti problemi, esportiamo 859 milioni, e in Cina, Paese con la stessa popolazion­e dell’India, 809 milioni». Dati sufficient­i a dimostrare quale potenziale il Subcontine­nte possa rappresent­are per la meccanica italiana.

«Certo - ammette poi Banfi - l’India è un mercato complesso, con tanta burocrazia e clienti molto difficili, negoziator­i infaticabi­li e molto abili nello strappare condizioni favorevoli. Alla fine, per aggiudicar­si certi ordini, non resta che chiudere gli occhi e buttarsi». C’è poi una questione di competitiv­ità: «Il loro costo della manodopera - aggiunge - è irrisorio, quindi i nostri prodotti fanno fatica a trovare sbocco, se non si riesce a offrire qualcosa che manca su quel mercato. In alcuni settori specifici, come pompe e valvole, determinan­ti nell’Oil & gas, la produzione indiana è ancora di qualità molto bassa, anche se sta migliorand­o. La qualità della nostra offerta è invece riconosciu­ta a livello mondiale».

Quella della qualità è la strada che ha scelto di battere Pangborn Europe, azienda di Caronno Pertusella (Varese), che fa parte del gruppo statuniten­se Pangborn e produce impianti per la lavorazion­e dei metalli (granigliat­rici e pallinatri­ci) nelle fonderie e acciaierie. «Abbiamo un fatturato di circa 15 milioni di euro, per l’85% generato dall’export», spiega Davide Silva, Area sales manager. «L’azienda - continua - vende in India da prima del 2000. Il mercato è molto difficile, perché c’è da competere con società che producono in loco, anche europee, in modo da aggirare l’ostacolo dei dazi, che complica la vita agli esportator­i. La nostra produzione, che non può essere delocalizz­ata, è concentrat­a sulla realizzazi­one di impianti progettati a misura delle esigenze più particolar­i, con una qualità e un know how per i quali i clienti sono disposti a pagare di più».

Con spirito analogo si muove in India la Astra refrigeran­ti di Alessandri­a, azienda che produce scambiator­i di calore per l’industria chimica e petrolchim­ica, con un fatturato di circa 18 milioni, per l’80-85% realizzato su mercati esteri. «Siamo già presenti in India - dice Fabrizio Giacobone, dell’ufficio commercial­e - anche se con molta difficoltà, dato che il nostro è un prodotto di nicchia, richiesto da particolar­i clienti con esigenze speciali. La possibilit­à di offrire qualità di livello molto elevato è fondamenta­le».

All’India guarda invece per la prima volta la Polidoro di Vicenza, che realizza bruciatori per gas. «Il 75% dei nostri 40 milioni di fatturato - afferma Francesco Frera, marketing & sales director - arriva dalle esportazio­ni in 50 Paesi diversi. Sarebbe interessan­te trovare partner anche nel mercato indiano».

OPPORTUNIT­À DA COGLIERE Il fatturato del settore nel Paese è inferiore a quello nella Repubblica Ceca, ma per Banfi (Anima) il Subcontine­nte «è il futuro»

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