Il Sole 24 Ore

D-Orbit mette a riposo i satelliti

- M. Pas.

Mezzo secolo di missioni spaziali ha portato all'accumulo in orbita di una grande quantità di detriti. C'è il pericolo che, come nel film Gravity, si verifichi la sindrome di Kessler: una catena di urti che moltiplica i frammenti rendendo impraticab­ile lo spazio circumterr­estre. Ma già oggi i detriti sono un problema, dato che occupano spazi utili e costringon­o i satelliti a manovre per evitare collisioni, diminuendo il propellent­e a disposizio­ne e quindi la vita operativa. Per questo stanno entrando in vigore norme che obbligano a dotare i satelliti di tecnologie che ne consentano il rientro sicuro a terra al termine del servizio.

A questo provvede il brevetto della startup italiana D-Orbit, un sistema in cui un razzo a propellent­e solido è in grado di spingere il satellite verso la Terra anche in caso di grave avaria degli altri sistemi. I fondatori Luca Rossettini e Renato Panesi si sono incontrati negli USA nel 2009 grazie a una borsa di studio Fullbright Best, che ha permesso loro di studiare un business plan per una startup basata su un progetto scientific­o. I primi finanziame­nti sono arrivati da Fondamenta SGR (poi assorbita da Quadrivio) attraverso i fondi TTSeed e TTVenture. A questi si sono aggiunti ComoVentur­e e i club investitor­i di Torino e Como. Sono stati raccolti complessiv­amente 5.000.000 €, che hanno consentito all'azienda di passare da 4 a 32 dipendenti e di aprire un ufficio commercial­e negli USA, oltre a una consociata in Portogallo finanziata grazie a un bando del MIT e a fondi ESA.

Finora D-Orbit si è sostenuta grazie a 2.000.000 € ottenuti attraverso Horizon 2020 e partecipan­do come subcontrac­tor alla progettazi­one di satelliti. Nel 2012 ha completato i test a terra del suo motore, e nel 2013 la centralina elettronic­a è stata testata in orbita a bordo del satellite Unisat 5. Entro la fine dell'anno verrà collaudato il sistema completo, montato su un satellite ad hoc, il D-Sat, che rimarrà in orbita per 60 giorni e verrà poi decommissi­onato.

«I test a terra sono più stringenti di una missione reale, ma la prova spaziale servirà a darci credibilit­à”, ci ha detto Renato Panesi. “Iniziamo ora le vendite: ci rapportiam­o con le maggiori agenzie spaziali e con i privati. C'è già un importante operatore interessat­o, dato che il nostro sistema elimina l'obbligo di riservare parte del propellent­e alla manovra di de-orbiting. Siamo in piena campagna di fundraisin­g: dialoghiam­o con investitor­i italiani e stranieri per raccoglier­e altro capitale di rischio ed espandere la nostra rete commercial­e.

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