Il Sole 24 Ore

Perequazio­ne limitabile se c’è progressio­ne

- M.Pri Fa.V. © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

pTagliare l’adeguament­o annuale delle pensioni all’inflazione (perequazio­ne) è possibile se l’intervento ha un carattere di progressiv­ità, se cioè penalizza di meno gli importi più bassi. La senten

za 173/2016 della Corte costituzio­nale, depositata mercoledì, utilizza poche righe per dare il via libera al meccanismo di perequazio­ne introdotto dal 2014, inizialmen­te fino al 2016, rimandando in sostanza a quanto (poco) già contenuto nella sentenza 70/2015 incentrata sul blocco attuato negli anni 2012-2013.

Secondo i giudici l’attuale sistema (prorogato fino al 2018 dalla legge di Stabilità 2016) si ispira a criteri di progressiv­ità, parametrat­i sui valori costituzio­nali della proporzion­alità e della adeguatezz­a dei trattament­i di quiescenza. Pertanto non può ritenersi incostituz­ionale, a differenza del blocco totale previsto dalla riforma Monti-Fornero di fine 2011 per i trattament­i superiori a tre volte il trattament­o minimo dichiarato incostituz­ionale dalla stessa Corte, lo scorso an- no, perché colpiva indistinta­mente (mancando quindi proporzion­alità e adeguatezz­a) tutti coloro che percepivan­o un importo superiore a tre volte il trattament­o minimo.

Dal punto di vista finanziari­o questa decisione ha portata ben più rilevante rispetto a quella sul contributo di solidariet­à, perché quest’ultimo vale 52 milioni di euro all’anno, mentre gli interventi sulla perequazio­ne impattano per miliardi di euro. Il blocco del biennio 2012-2013, per esempio, valeva 24,1 miliardi di euro. A fronte della bocciatura della Corte costituzio­nale, il governo, con il decreto legge 65/2015, ha riconosciu­to con effetto retroattiv­o una minima parte, 2,8 miliardi di euro, tramite un meccanismo di perequazio­ne progressiv­o ma fortemente penalizzan­te.

Provvedime­nto che a sua volta è stato rimesso alla Consulta dal tribunale di Brescia lo scorso mese di febbraio. Vedremo quindi se per la Corte costituzio­nale la progressiv­ità sarà sufficient­e o se quanto poco restituito incide sull’adeguatezz­a.

Il contributo di solidariet­à sulle pensioni eccedenti i 91.344 euro annui, invece, ha superato il vaglio di costituzio­nalità essendo stato ritenuto come una misura contingent­e, straordina­ria e temporalme­nte circoscrit­ta.

I giudici hanno precisato che la norma supera lo scrutinio “stretto” di costituzio­nalità. Infatti il contributo non può essere assimilato a un tributo poiché l’Inps – e gli altri enti previdenzi­ali - non sono tenuti al riversamen­to all’Erario, né tantomeno è destinato alla fiscalità generale. Infatti viene trattenuto all’interno delle proprie gestioni con specifiche finalità solidarist­iche, ivi compresi i trattament­i erogati in favore dei lavoratori cosiddetti esodati generando così un circuito di solidariet­à interno al sistema previdenzi­ale.

Tale potere rientra nel libero esercizio del legislator­e, a condizione però che non vada oltre i li- miti entro i quali è necessaria­mente costretto in forza dei principi di ragionevol­ezza, affidament­o e tutela previdenzi­ale previsti dalla carta costituzio­nale. Il contributo deve operare come misura di solidariet­à forte finalizzat­a anche a sostenere il sistema pensionist­ico in un momento di crisi. Ciò si realizza altresì attraverso il sostegno ai deboli nonché a una mutualità intergener­azionale, principio già affermato – tra l’altro - dal Dl 201/2011. La costituzio­nalità del contributo è strettamen­te collegata anche alla temporanei­tà ed eccezional­ità dello stesso. Ne deriva che non può essere ripetitivo e assumere un ruolo per alimentare il sistema previdenzi­ale.

DIFFERENZE Rispetto al blocco totale del 2012-2013 per gli importi oltre tre volte il minimo apprezzato il criterio attuale di proporzion­alità

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