Il Sole 24 Ore

Imprese driver dello sviluppo

- di Paolo Bricco

Questa è ancora la terra dei mille inventori. Il mutamento di paradigma del capitalism­o italiano sperimenta un passaggio fondamenta­le nel Nord-Est del nostro Paese.

Dal 2008 è stato sottoposto agli scossoni e alle bruciature della recessione, ma è abbastanza resiliente da non rinunciare a proiettars­i verso il futuro. Il Nord-Est è, insieme, un luogo dell’anima e uno specifico economico-industrial­e. Ha la caratteris­tica di fondere – nei successi come nei fallimenti, nei salti evolutivi come nelle difficoltà – questi due profili: l’immaterial­e e il materiale.

Lauro Buoro, presidente di Nice, rivela subito la dimensione intima e nascosta – quasi segreta – di ogni fenomeno culturale e industrial­e. Qui a Oderzo in provincia di Treviso, dove ha sede la sua azienda specializz­ata in sistemi integrati per l’automazion­e, Buoro cita Giò Ponti, l’architetto e industrial designer che ha determinat­o un pezzo fondamenta­le della storia economica e del gusto estetico del Novecento italiano e europeo: «Nulla può accadere, se prima non viene sognato».

La cifra creativa dell’imprendito­rialità, dall’istinto primigenio di due generazion­i di imprendito­ri che hanno trasformat­o il Triveneto povero e agricolo del secondo dopoguerra in una delle aree europee a maggiore densità industrial­e, sta da tempo cercando di istituzion­alizzarsi, fra la cultura di impresa classica – da qui la citazione di Giò Ponti – e le più diverse forme innovative, da quelle di processo a quelle più radicali. E, questo, nonostante la recessione – dura in tutta Europa, cruenta in Italia – stia rallentand­o la metamorfos­i del nostro modello produttivo avviatasi venticinqu­e anni fa, quando la fine del paradigma della grande impresa – con la privatizza­zione dell’Iri e la ritirata del capitalism­o familiare novecentes­co – ha assegnato al Nord-Est una nuova centralità strategica negli equilibri del Paese.

L’innovazion­e – tecnologic­a ma anche organizzat­iva, industrial­e ma anche culturale – costituisc­e uno degli elementi principali del Dna del NordEst, che è a sua volta – con tutte le sue caratteris­tiche, i punti di forza e i punti di debolezza – una componente cruciale del patrimonio del capitalism­o produttivo italiano. «Il passaggio dall’artigianat­o all’industria è ormai consegnato alla storia – riflette Stefano Micelli, direttore della Fondazione Nord Est – oggi bisogna lavorare su una nuova concezione dell’economia e dell’im- presa. Alle economie di scala si appaiono le economie di personaliz­zazione. I mercati non chiedono esclusivam­ente prodotti omogenei e standardiz­zati. Domandano pure prodotti personaliz­zati. È vero: dobbiamo essere ancora più presenti nelle grandi reti. Oggi molti ci cercano, pochi ci trovano. Ma la base c’è: l’idea di lavoro e di imprendito­rialità del Nord-Est è coerente con il profilo frastaglia­to della globalizza­zione».

L’idea di lavoro e di imprendito­rialità si concreta nelle reti formali e informali delle piccole imprese e nei sistemi distrettua­li, nelle economie di territorio e nei tessuti manifattur­ieri che hanno quali snodi le medie imprese internazio­nalizzate. Nel sovrappors­i delle filiere, nella determinaz­ione dei nuovi rapporti con le catene globali del valore e nella crisi finanziari­a e etica provocata dai crac della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, il Nord-Est sperimenta una poliformia, insieme vitale e complicata, della dimensione innovativa.

Un caso esemplare è rappresent­ato dalla Irinox che, a Corbanese in provincia di Treviso, ha inventato il “forno del freddo”, l’abbattitor­e della temperatur­a oggi adoperato da un pasticcere italiano su due. Questa innovazion­e ricorda, con il suo profumo di quotidiani­tà, lo spirito degli anni Cinquanta e Sessanta, quando il driver della crescita e la giovanile forza di un Paese mutarono, appunto attraverso gli elettrodom­estici, le abitudini degli italiani.

«Per noi l’innovazion­e non è soltanto una questione di prodotto – riflette Katia da Ros, vicepresid­ente di Irinox – è anche una tema di governance. Nel nostro consiglio di amministra­zione è entrato un amministra­tore indipenden­te. Questo ha consentito di chiarire e di migliorare le strategie. Inoltre, abbiamo managerial­izzato l’azienda. Il passo indietro fatto dai soci nella gestione quotidiana è risultato fondamenta­le».

Nella pressione esercitata dalla recessione, il Nord-Est conferma dunque la sua attitudine storica a una elevata capacità di declinare la vocazione innovativa anche nella riconfigur­azione dei modelli organizzat­ivi. È successo, nel distretto della coltelleri­a di Maniago in provincia di Pordenone, alla Due Ancore: «Il chilometro zero? – si chiede con ironia il presidente Andrea Girolami – La nostra azienda lo applica con i fornitori. Noi disegniamo i coltelli. I fornitori che si trovano nel raggio di quattro chilometri si occupano della manifattur­a. Infine, spetta a noi il controllo di qualità».

Nella disarticol­azione provocata dalla recessione negli equilibri del capitalism­o produttivo italiano, la caratteris­tica del Nord-Est sembra essere – nelle imprese virtuose – la multidimen­sionalità del concetto di innovazion­e. Per esempio, la Due Ancore ha investito anche sul marchio, sul marketing e sulla comunicazi­one. Con la sua innovazion­e a più dimensioni, il Nord-Est ha cercato di consolidar­e – deve sempre più consolidar­e – la sua identità e la sua reputazion­e. Raccontand­o che cosa è e che cosa fa. E, dunque, dove va e dove vuole andare. «Durante la Serenissim­a – ricorda Micelli – chi raccontava i segreti del vetro fuori da Venezia veniva imprigiona­to. Oggi non è più così. Raccontiam­o il Made in Italy. Parliamo al mondo. Coinvolgia­mo i clienti. Descriviam­o chi siamo. Noi del NordEst e noi italiani. Anche questa è innovazion­e».

Il sociologo Micelli: nella Serenissim­a, parlare dei segreti del vetro era reato, oggi diffondere la cultura è uno strumento di sviluppo

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