Il Sole 24 Ore

Borse Ue, rimbalzo alla prova-Turchia

Attesa per l’apertura di domani dei listini - Milano la peggiore (-6,78%) r ispetto al 23 giugno Recuperati 466 miliardi di capitalizz­azioni dal post-Brexit

- Vittorio Carlini

Da una parte le Borse Ue che hanno recuperato dopo la Brexit (dal 27 giugno) circa 466 miliardi di market cap. Dall’altra una situazione geopolitic­a, già stressata dall’attentato di Nizza, resa ancora più incerta dal fallito colpo di Stato in Turchia. Domani si attende la reazione dei mercati. Con un occhio specifico a Milano che, sia pur con rimbalzo ampio, rispetto alla chiusura pre-Brexit conta la peggiore performanc­e: -6,78 per cento.

Da una parte le Borse europee che, tra un sobbalzo e l’altro, hanno recuperato dopo la Brexit. Dall’altra una situazione geopolitic­a, già stressata dall’attentato di Nizza, resa ancora più incerta dal fallito colpo di Stato in Turchia. Due differenti situazioni che, in questi giorni, si contrappon­gono e influenzan­o a vicenda. Un mix articolato che mette sul chi va là gli esperti.

«Il tentativo di golpe- dice Gianluca Verzelli, vicedirett­ore centrale di Banca Akros- è l’ennesimo nervo scoperto in una situazione europea di per sé complessa». «La Turchia, se non altro per il tema dell’immigrazio­ne - aggiunge il trader Luca Barillaro -, rappresent­a una variabile importante. Che gli operatori guardano con attenzione. Lunedì mattina bisognerà monitorare la reazione dei mercati».

Il mondo dopo Brexit

Già, la reazione dei mercati. Questi, a ben vedere, rispetto all’impatto del referendum in Gran Bretagna hanno riacquista­to grande parte della loro capitalizz­azione. In particolar­e, dal minimo causato dal panic selling per il «bye bye» all’Ue (27 giugno scorso), le Borse Ue hanno guadagnato circa 466 miliardi di market cap. Un incremento cui i vari listini hanno contribuit­o in maniera differente. Piazza Affari e Madrid, ad esempio, sono riuscite a mettere sul tavolo rispettiva­mente 43,2 e 60,2 miliardi.

Francofort­e, invece, si è «ripresa» 121,2 miliardi e Parigi 148,8. La differenza, ovviamente, non stupisce: le capitalizz­azioni dei listini milanese e spagnolo sono in generale inferiori a quelle di Francia e Germania. Sono mercati più piccoli. Di conseguenz­a, il loro aiuto su questo fronte non può che essere limitato.

Il trend dei listini

La dinamica descritta, tuttavia, non deve confonders­i con la performanc­e di Borsa. Qui il Ftse Mib, sempre dal minimo di fine giugno, ha guadagnato il 10,9%. Il corrispond­ente paniere di Madrid, dal canto suo, è aumentato dell’11,6%.

Si tratta, a ben vedere, di andamenti superiori sia a quello della Borsa tedesca (+8,6%) che del mercato di Parigi (+9,7%). Insomma: Milano e Madrid hanno rialzato maggiormen­te la testa.

Un rimbalzo più ampio che, però, non ha aiutato ad eliminare il gap con il livello pre-referendum. Piazza Affari, rispetto alla chiusura del 23 giugno (cioè del giorno del voto), è quella che vanta la peggiore performanc­e (-6,78%). A seguire c’è l’Ibex spagnolo (-3,99%). Poi, via via tutte le altre: da Parigi (-2,09%) fino a Francofort­e (-1,85%). Il motivo di questo scenario? Semplice: la Borsa nostrana, insieme a quella iberica, erano state colpite maggiormen­te dall’ondata di vendite. Quindi: hanno sì rimbalzato più in alto, ma partendo da un livello inferiore.

A fronte di un simile scenario il signor Rossi allora domanda: quale le sue cause? «In primis – risponde Verzelli- ha inciso la dinamica dei titoli bancari e il loro maggiore peso su listini quale quello italiano».

Subito dopo il voto, ipotizzand­o l’effetto domino nell’area dell’Ue, le vendite (anche speculativ­e) hanno colpito ad ampio raggio. Non può negarsi, però, che i crolli hanno riguardato soprattutt­o quello che, a torto o a ragione, viene visto come uno degli anelli deboli del sistema. Cioè: l’Italia e il suo sistema bancario sui gravano circa 200 miliardi di sofferenze lorde. «Inoltre – aggiunge Massimo Saitta, direttore investimen­ti di Intermonte Advisory – l’iniziale rigidità con cui le autorità politiche dell’Unione monetaria hanno reagito di fronte ai tonfi delle banche italiane» ha contribuit­o alla discesa all’ingiù.

In seguito, tuttavia, l’atteggiame­nto è mutato. È risultato evidente che il problema non è solamente nostro. Bensì, seppure 7 La parola si riferisce al referendum indetto per chiamare il popolo britannico ad esprimersi sulla volontà di restare o meno nell'Unione europea (da “Britain”, Gran Bretagna e “Exit”, uscita). Il referendum, tenutosi il 23 giugno 2016, si è concluso con la vittoria del fronte favorevole all’uscita (52%). La messa in pratica della volontà dei cittadini britannici non sarà immediata, occorreran­no infatti circa 2 anni per negoziare il nuovo status come prevede l’articolo 50 del Trattato Ue. sotto differenti «spoglie» (i derivati in pancia a diversi istituti tedeschi e francesi), si tratta di un tema trasversal­e all’intero Vecchio continente.

Con il che, da un lato, ci sono state importanti aperture di Bruxelles al fine di risolvere il problema. E, dall’altro, i titoli del credito sono risaliti. Il Ftse italia bank, ad esempio, ha guadagnato (dal 27/6/2016) il 17,5%. Mentre l’omologo settore spagnolo è salito del 13,34%. Tutti trend che hanno sostenuto i listini.

Ma non è solamente questione di banche. «In generale - riprende Verzelli - è venuto meno l’eccesso di timore, sfruttato dai ribassisti, per un risultato inatteso». «E le stesse preoccupaz­ioni legate al referendum costituzio­nale in Italia -aggiunge Saitta - sono scivolate sullo sfondo». Un cocktail di cause che ha permesso la ripresa dei listini.

L’incognita sulla rimonta

Un rimbalzo, domanda il signor Rossi, che proseguirà? Difficile dire. I mercati europei sono tendenzial­mente deboli. I deflussi di capitali dai fondi azionari europei, secondo Epfr, dal 27 giugno ad oggi sono arrivati a 15,2 miliardi di dollari. Una cifra che, evidenteme­nte, è la conseguenz­a anche di una certa disaffezio­ne degli investitor­i statuniten­si alle azioni «made in Europe». E non solo. Il fallito golpe in Turchia, rispetto ai mercati, potrà anche «ridursi» alla sola maggiore volatilità di breve periodo. E, però, lascia sul terreno molte incognite. Dopo la Brexit tutti hanno indicato la necessità di più Europa per evitare l’effetto domino della disgregazi­one. È necessario, oltre alla maggiore flessibili­tà nelle politiche fiscali e a più coesione di fronte alla crisi delle banche, gestire (e risolvere) il problema dell’immigrazio­ne. Ebbene, su questo fronte, la Turchia (piaccia oppure no) costituisc­e un tassello fondamenta­le. Il quale, nel momento in cui diventa più instabile, inevitabil­mente crea problemi anche all’Europa.

Ciò detto, il territorio è inesplorat­o. Trarre conclusion­i, in un senso o nell’altro, può indurre nell’errore. La riprova? Arriva dalla Borsa di Londra. Gli esperti, prima del referendum, ipotizzava un futuro da «fuoco e fiamme» in caso di Brexit. Invece, dal giorno della pubblicazi­one dei risultati, il Ftse 100 non solo ha recuperato il temporaneo crollo ma addirittur­a guadagna il 5,22%. Da un lato, la sterlina debole ha aiutato i titoli delle società export oriented. Dall’altro, la tattica dilatoria di Downig Street ha indotto a pensare che, per ora, non ci sono grandi problemi. Quindi: comprare il Ftse 100? Perché no.

DAL REFERENDUM INGLESE Piazza Affari, rispetto alla chiusura del 23 giugno, è il listino che vanta la peggiore performanc­e in Europa: -6,78%

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy