Le élite, il bene pubblico e le ragioni dell’economia
Cosa hanno in comune il referendum britannico (che ha deciso la Brexit) e quello italiano (che dovrà decidere sulla riforma costituzionale)? Innanzitutto che nessun paese è immune dal populismo e, in secondo luogo, che il referendum può diventare l’occasione per un regolamento dei conti all’interno delle élite politiche. Per il Regno Unito, si è trattato di una novità.
Quel paese, infatti, è stato tradizionalmente ben governato, grazie alle sue buone istitu- zioni ma anche alla cultura pragmatica delle sue élite politiche. Eppure, di quel pragmatismo, se ne è visto ben poco durante il referendum del 23 giugno. I promotori della Brexit hanno condotto una campagna emotiva e dai toni drammatici. Per loro in gioco c’era addirittura l’indipendenza del paese.
Hanno diffuso numeri inventati sui vantaggi dell’uscita dall’Unione europea, oppure sui costi della permanenza in quest’ultima.
Una campagna che i contrari alla Brexit hanno subìto ancheperchéincertisullastrategiadaperseguire.Fattosiècheilreferendum ha fornito l’occasione per una resa dei conti all’interno del partito di governo (e della costellazione conservatrice).Tant’ècheunnuovo gruppohapresoilpotereeunnuovo sistema partitico sta prendendo forma.Mentreilpaeseèdivisoeisolato.
Anche in Italia, il referendum costituzionale del prossimo autunno è utilizzato dai populisti per raggiungere obiettivi che poco o nulla hanno a che fare con il contenuto della riforma. Dopo tutto, da noi, la legna da bruciare è tanta. Il paese fa fatica a crescere, le ineguaglianze si sono accentuate, la corruzione e il malgoverno persistono. È l’indignazione prodotta da tutto ciò che i populisti mobilitano, indirizzandola verso il rifiuto di una riforma costituzionale che, in realtà, è stata pensata proprio per meglio affrontare quelle sfide. I populisti gridano alla trasformazione autoritaria, ma il loro obiettivo è regolare i conti con Matteo Renzi. Cosa tiene insieme, ad esempio, Luigi Di Maio, Maurizio Gasparri e Matteo Salvini, se non il comune desiderio di buttare giù il governo? La loro critica non riguarda la riforma costituzionale in sé, ma il governo (se non il leader) che l’ha promossa. Non interessa a Di Maio che quella riforma realizzi obiettivi del suo movimento (come la riduzione dei parlamentari, la semplificazione delle procedure, l’abolizione degli enti inutili); né interessa a Brunetta che quella riforma persegua un obiettivo che il suo centro-destra ha cercato di promuovere nel passato (come il superamento del bicameralismo paritario); né interessa a Salvini che la riforma rafforzi il ruolo nazionale delle rappresentanze regionali, obiettivo da sempre perseguito dalla Lega. Ciò che interessa loro è trasformare il referendum in un giudizio sul governo. E, d’altra parte, Renzi ha dato loro una mano, personalizzando la campagna elettorale. Un buon esempio di auto-lesionismo.
Il populismo è come l’olio: una volta caduto a terra si diffonde facilmente. In particolare se tra i suoi oppositori ci sono politici un po’ troppo politicisti. Di nuovo, si guardi il referendum britannico. Il leader laburista Jeremy Corbin, formalmente un anti-Brexit, ha condotto una campagna timida e incerta perché la sua preoccupazione principale è stata quella di non far vincere (“troppo”) il premier conservatore David Cameron, che pure stava dalla sua parte nel referendum. Per Corbin, il referendum non riguarda- va una questione storica, ma una questione contingente, ovvero come vincere le elezioni del 2020. Questo politicismo alligna anche da noi, ad esempio nella sinistra del Pd o in Forza Italia. Per i politicisti italiani, la riforma costituzionale non è brutta, anzi andrebbe anche bene, a condizione però che si cambi il sistema elettorale. Ma qual è il nesso? Il referendum riguarda la riforma della costituzione, non la riforma del sistema elettorale. La costituzione si riforma attraverso procedure estremamente complesse. Tant’è che siamo arrivati solamente ora, dopo ben 37 anni di discussioni parlamentari, all’ultimo atto. I sistemi elettorali, invece, si possono cambiare con legge ordinaria, come è stato fatto per ben tre volte negli ultimi 25 anni. Se da qui al 2018 si verrà a formare in parlamento una maggioranza a favore di una riforma dell’Italicum, allora quest’ultimo verrà riformato. Ma cosa c’entra tutto ciò con il referendum costituzionale? Per Roberto Speranza e Paolo Romani, ad esempio, ciò che conta è in realtà la politica, ovvero che Renzi non si rafforzi troppo, non già la riforma costituzionale in sé.
A populisti non interessa mai il dopo. Chi ha fatto la campagna per la Brexit non si era posto la domanda di cosa fare in caso di vittoria, allo stesso modo chi fa la campagna contro la riforma costituzionale non si pone il problema di come governare l’Italia in un’epoca globalizzata. Può l’Italia promuovere crescita e occupazione con un sistema decisionale pensato per il mondo di 70 anni fa? La razionalizzazione di questo sistema costituisce un bene pubblico, non già un bene privato. Serve all’Italia, quindi all’uno o all’altro governo che verrà. Se ai populisti non interessa il dopo, pensa real dopo è invece indispensabile. L’ economia e la società sanno chela modernizzazione del nostro sistema decisionale è una condizione necessaria, anche se non sufficiente, per far crescere il paese. Non è allarmismo mostrare che il no alla riforma costituzionale avrebbe conseguenze negative sulle nostre possibilità di crescita (riducendo il Pil, gli investimenti, l’occupazione), come non erano allarmistiche le previsioni del governatore della banca d’Inghilterra sulle conseguenze negative della Brexit (che si sono infatti confermate). Quel no mostrerebbe che l’Italia non riesce a riformare neppure ciò (come il bicameralismo paritario) che tutti considerano superato (e che non c’è da nessun’altra parte). Quel no favorirebbe un’ instabilità politica che ci metterebbe ai margini del processo decisionale europeo.
L’ analisi fredda dei fatti e lava lutazione delle conseguenze di una scelta sono estranee ai populisti. Loro vogliono mobilitare la pancia, non la testa, dei cittadini. Per fermarli occorrono élite politiche responsabili che privilegino gli interessi del paese a quelli personali. Se si riuscirà ad evitare la deriva britannica il prossimo autunno, allora il futuro dell’ Italia sarà più al sicuro di quello del Regno Unito.