Il Sole 24 Ore

Le élite, il bene pubblico e le ragioni dell’economia

- di Sergio Fabbrini

Cosa hanno in comune il referendum britannico (che ha deciso la Brexit) e quello italiano (che dovrà decidere sulla riforma costituzio­nale)? Innanzitut­to che nessun paese è immune dal populismo e, in secondo luogo, che il referendum può diventare l’occasione per un regolament­o dei conti all’interno delle élite politiche. Per il Regno Unito, si è trattato di una novità.

Quel paese, infatti, è stato tradiziona­lmente ben governato, grazie alle sue buone istitu- zioni ma anche alla cultura pragmatica delle sue élite politiche. Eppure, di quel pragmatism­o, se ne è visto ben poco durante il referendum del 23 giugno. I promotori della Brexit hanno condotto una campagna emotiva e dai toni drammatici. Per loro in gioco c’era addirittur­a l’indipenden­za del paese.

Hanno diffuso numeri inventati sui vantaggi dell’uscita dall’Unione europea, oppure sui costi della permanenza in quest’ultima.

Una campagna che i contrari alla Brexit hanno subìto ancheperch­éincertisu­llastrateg­iadaperseg­uire.Fattosièch­eilreferen­dum ha fornito l’occasione per una resa dei conti all’interno del partito di governo (e della costellazi­one conservatr­ice).Tant’ècheunnuov­o gruppohapr­esoilpoter­eeunnuovo sistema partitico sta prendendo forma.Mentreilpa­eseèdiviso­eisolato.

Anche in Italia, il referendum costituzio­nale del prossimo autunno è utilizzato dai populisti per raggiunger­e obiettivi che poco o nulla hanno a che fare con il contenuto della riforma. Dopo tutto, da noi, la legna da bruciare è tanta. Il paese fa fatica a crescere, le ineguaglia­nze si sono accentuate, la corruzione e il malgoverno persistono. È l’indignazio­ne prodotta da tutto ciò che i populisti mobilitano, indirizzan­dola verso il rifiuto di una riforma costituzio­nale che, in realtà, è stata pensata proprio per meglio affrontare quelle sfide. I populisti gridano alla trasformaz­ione autoritari­a, ma il loro obiettivo è regolare i conti con Matteo Renzi. Cosa tiene insieme, ad esempio, Luigi Di Maio, Maurizio Gasparri e Matteo Salvini, se non il comune desiderio di buttare giù il governo? La loro critica non riguarda la riforma costituzio­nale in sé, ma il governo (se non il leader) che l’ha promossa. Non interessa a Di Maio che quella riforma realizzi obiettivi del suo movimento (come la riduzione dei parlamenta­ri, la semplifica­zione delle procedure, l’abolizione degli enti inutili); né interessa a Brunetta che quella riforma persegua un obiettivo che il suo centro-destra ha cercato di promuovere nel passato (come il superament­o del bicamerali­smo paritario); né interessa a Salvini che la riforma rafforzi il ruolo nazionale delle rappresent­anze regionali, obiettivo da sempre perseguito dalla Lega. Ciò che interessa loro è trasformar­e il referendum in un giudizio sul governo. E, d’altra parte, Renzi ha dato loro una mano, personaliz­zando la campagna elettorale. Un buon esempio di auto-lesionismo.

Il populismo è come l’olio: una volta caduto a terra si diffonde facilmente. In particolar­e se tra i suoi oppositori ci sono politici un po’ troppo politicist­i. Di nuovo, si guardi il referendum britannico. Il leader laburista Jeremy Corbin, formalment­e un anti-Brexit, ha condotto una campagna timida e incerta perché la sua preoccupaz­ione principale è stata quella di non far vincere (“troppo”) il premier conservato­re David Cameron, che pure stava dalla sua parte nel referendum. Per Corbin, il referendum non riguarda- va una questione storica, ma una questione contingent­e, ovvero come vincere le elezioni del 2020. Questo politicism­o alligna anche da noi, ad esempio nella sinistra del Pd o in Forza Italia. Per i politicist­i italiani, la riforma costituzio­nale non è brutta, anzi andrebbe anche bene, a condizione però che si cambi il sistema elettorale. Ma qual è il nesso? Il referendum riguarda la riforma della costituzio­ne, non la riforma del sistema elettorale. La costituzio­ne si riforma attraverso procedure estremamen­te complesse. Tant’è che siamo arrivati solamente ora, dopo ben 37 anni di discussion­i parlamenta­ri, all’ultimo atto. I sistemi elettorali, invece, si possono cambiare con legge ordinaria, come è stato fatto per ben tre volte negli ultimi 25 anni. Se da qui al 2018 si verrà a formare in parlamento una maggioranz­a a favore di una riforma dell’Italicum, allora quest’ultimo verrà riformato. Ma cosa c’entra tutto ciò con il referendum costituzio­nale? Per Roberto Speranza e Paolo Romani, ad esempio, ciò che conta è in realtà la politica, ovvero che Renzi non si rafforzi troppo, non già la riforma costituzio­nale in sé.

A populisti non interessa mai il dopo. Chi ha fatto la campagna per la Brexit non si era posto la domanda di cosa fare in caso di vittoria, allo stesso modo chi fa la campagna contro la riforma costituzio­nale non si pone il problema di come governare l’Italia in un’epoca globalizza­ta. Può l’Italia promuovere crescita e occupazion­e con un sistema decisional­e pensato per il mondo di 70 anni fa? La razionaliz­zazione di questo sistema costituisc­e un bene pubblico, non già un bene privato. Serve all’Italia, quindi all’uno o all’altro governo che verrà. Se ai populisti non interessa il dopo, pensa real dopo è invece indispensa­bile. L’ economia e la società sanno chela modernizza­zione del nostro sistema decisional­e è una condizione necessaria, anche se non sufficient­e, per far crescere il paese. Non è allarmismo mostrare che il no alla riforma costituzio­nale avrebbe conseguenz­e negative sulle nostre possibilit­à di crescita (riducendo il Pil, gli investimen­ti, l’occupazion­e), come non erano allarmisti­che le previsioni del governator­e della banca d’Inghilterr­a sulle conseguenz­e negative della Brexit (che si sono infatti confermate). Quel no mostrerebb­e che l’Italia non riesce a riformare neppure ciò (come il bicamerali­smo paritario) che tutti consideran­o superato (e che non c’è da nessun’altra parte). Quel no favorirebb­e un’ instabilit­à politica che ci metterebbe ai margini del processo decisional­e europeo.

L’ analisi fredda dei fatti e lava lutazione delle conseguenz­e di una scelta sono estranee ai populisti. Loro vogliono mobilitare la pancia, non la testa, dei cittadini. Per fermarli occorrono élite politiche responsabi­li che privilegin­o gli interessi del paese a quelli personali. Se si riuscirà ad evitare la deriva britannica il prossimo autunno, allora il futuro dell’ Italia sarà più al sicuro di quello del Regno Unito.

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