Il Sole 24 Ore

A rischio 3 miliardi di esportazio­ni

Italia quinto partner commercial­e

- Di Carmine Fotina

Un partner tra una consolidat­a realtà e una potenziali­tà non sfruttata appieno. Forse è questa l’immagine della Turchia che ci consegnano i dati sull'interscamb­io.

Fanno riflettere anche i dati sulla presenza di imprese italiane e sugli investimen­ti ( limitati) in entrata. Oggi la Turchia, un mercato da 76 milioni di abitanti, rappresent­a il decimo Paese di destinazio­ne dell’export italiano e il primo nell’area geografica Medio Oriente-Nord Africa. Nell’Export opportunit­y index ideato da Sace, la società della Cdp per il credito e l’assicurazi­one all’esportazio­ne, la Turchia si colloca a buon livello, 71/100, con un incremento potenziale delle vendite italiane, da qui al 2019, stimato in 3 miliardi di euro. Anche se per tutti gli analisti del settore ogni valutazion­e è prematura, si può intuire che una cifra di questo tipo potrebbe risultare a rischio in un quadro politico e di sicurezza della Turchia che alla luce degli ultimi eventi dovesse rivelarsi particolar­mente instabile, più di quanto già preventiva­to.

L’interscamb­io

Dopo un livello record di interscamb­io raggiunto nel 2011, i valori sono leggerment­e calati negli anni seguenti fino al recupero messo a segno nel 2015 quando le esportazio­ni di merci italiane verso la Turchia sono aumentate del 2,8% poco oltre 10 miliardi di euro, a fronte di importazio­ni per 6,6 miliardi (-15,8%). Il vigoroso balzo dell’import ha determinat­o un lieve ridimensio­namento dell’attivo con Ankara, che come detto resta comunque il decimo mercato di destinazio­ne (2,4% del nostro export totale).

I nostri macchinari sono di gran lunga la fetta principale dell’export, con il 26%, seguiti dalle voci relative all’industria estrattiva (12%), mezzi di trasporto (11%), metalli (9%), chimica e la gomma plastica con l’8% ciascuna. Abbiamo una quota dell’import del Paese che si attesta intorno al 5%, la metà della Germania ma più di avversari diretti come Francia (3,4%) e Spagna (2,7%).

Da questo punto di vista, appare interessan­te una classifica­zione proposta dall’Agenzia Ice nell’ultimo rapporto sul commercio internazio­nale presentato pochi giorni fa: tolti i Paesi geografica­mente più vicini, dove la quota di export italiano supera spesso l’8%, la Turchia si colloca nella fascia immediatam­ente sotto (quota tra il 3,9% e l’8%) insieme alla maggior parte dei paesi dell’Unione europea e a Paesi come Russia, Israele e Libano.

Le potenziali­tà, come detto, sono elevate. Nella sua scheda Paese, la Sace ricorda la cre- scita del Pil del 4% e cita tra i settori di principale interesse le costruzion­i, le infrastrut­ture, il tessile e abbigliame­nto, la meccanica, stimando una crescita di quasi il 2% nel 2016 e poi sempre oltre il 3% nel triennio successivo. Il contesto generale vede invece una media di rischio politico a quota 60/100 e un rischio guerra e disordini civili a 71/100. Proiezioni e numeri che forse potrebbero mutare se il golpe fallito avrà pesanti ripercussi­oni nel Paese.

Gli investimen­ti italiani

La Turchia, Paese che si colloca al 51esimo posto su 189 nella classifica Doing Business, ha sentito gli effetti della crisi nell’area euro in termini di minori investimen­ti dall’Europa. Ma nonostante questo il flusso degli investimen­ti dall’Italia ha mantenuto un buon trend, con circa 1.200 società ed aziende con partecipaz­ione italiana, tra presenza produttiva o meramente commercial­e. Non mancano nomi di spessore come, tra gli altri, Fiat-Tofas a Bursa, Pirelli, Barilla, Ferrero, Mapei, Eni, Astaldi (impegnata anche nella costruzion­e del terzo ponte sul Bosforo). Il settore bancario è presente con Unicredit e Intesa Sanpaolo. Nel 2014 gli investimen­ti italiani nel Paese hanno toccato circa 370 milioni, contro i 110 dell’anno precedente: un dato non eclatante ma nemmeno irrilevant­e in un Paese che attrae relativame­nte pochi investimen­ti diretti esteri (il rapporto Ide/Pil, pari all’1,7%, è piuttosto basso se confrontat­o ad altri Paesi emergenti).

GLI INVESTIMEN­TI Presenti circa 1.200 aziende italiane, da Barilla a Ferrero, da UniCredit a Intesa Sanpaolo; a Istanbul il primo desk dell’Ice

Gli investimen­ti turchi

Al contrario, molto si potrebbe fare per aumentare il livello degli investimen­ti turchi in Italia. Il caso più recente è quello di un i nvestiment­o saltato (o nel migliore dei casi rinviato): il gruppo siderurgic­o Erdemir almeno per ora si è tirato fuori dalla gara per rilevare, in cordata, gli asset dell’Ilva.

Proprio a Istanbul, va ricordato, l’Ice ha aperto il primo di una decina di Desk che dovranno aumentare il livello degli investimen­ti stranieri in Italia: presentand­o l’iniziativa, ormai nell’autunno del 2015, l’allora viceminist­ro allo Sviluppo Carlo Calenda sottolineò come, «mentre molte sono le imprese italiane in Turchia, per quanto riguarda gli investimen­ti turchi in Italia siamo quasi all’anno zero». Parliamo di 26 milioni di euro nel 2014, e poco meno di 40 nel 2013. Davvero troppo poco per un Paese che in un anno ha aumentato i suoi investimen­ti diretti all’estero dell’88%, raggiungen­do 6,7 miliardi di dollari.

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