Il Sole 24 Ore

«Il Paese che ospita Gülen è contro i turchi»

Il «Sultano» esige dagli Stati Uniti l’estradizio­ne dell’ex predicator­e islamico, accusato di aver ispirato il golpe

- Di Claudio Gatti

Senza alcun dubbio o incertezza il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha puntato il dito contro Fethullah Gülen, l’ex predicator­e islamico suo ex alleato da tre anni ritenuto il peggior nemico interno. Sarebbe lui l’ispiratore del tentato golpe militare di venerdì sera.

A conferma di quest’accusa, il primo ministro Binali Yıldırım ha detto di aver chiesto immediatam­ente l’estradizio­ne di Gülen agli Stati Uniti, il Paese che da 17 anni ospita Gülen. «Qualsiasi Paese che decide di mettersi dalla parte di quest’uomo, non è amico della Turchia», ha dichiarato Yıldırım, arrivando a definire tale atteggiame­nto «un atto ostile contro la Turchia».

Che Gülen sia ormai un acerrimo nemico di Erdogan e del suo regime è un fatto indiscutib­ile. Ma avendo seguito per anni le attività dell’ex predicator­e e studiato i suoi metodi e la sua rete d’influenza in Turchia, il Sole-24 Ore non vede basi solide nell’accusa di Erdogan. Anzi, ritiene molto più probabile che il presidente abbia colto l’occasione del fallito golpe per chiudere la partita con il leader di una rete di potere spirituale, politico, amministra­tivo ed economico autonoma dalla sua.

Fino a tre anni fa Gülen è stato il più stretto e potente alleato di Erdogan, di cui ha sostenuto l’ascesa al potere. Come l’attuale presidente, il predicator­e era un “islamista soft”, nemico del secolarism­o imposto da Atatürk dopo il collasso dell’Impero Ottomano. Ma quando Erdogan era ancora nel pieno della sua scalata al potere politico, Gülen aveva già il controllo di un movimento ai confini tra religione, politica ed economia noto tra i seguaci sempliceme­nte come “il Servizio” - Hizmet in turco. Una sorta di Opus Dei, Comunione Liberazion­e e Compagnia delle Opere messe insieme. Ma di matrice islamica.

Senza il supporto di Hizmet, difficilme­nte il partito Akp ed Erdogan sarebbero riusciti a prendere il controllo quasi assoluto del potere. Ma una volta preso quel controllo, Erdogan ha deciso di sbarazzars­i di un alleato troppo autonomo e ingombrant­e. E lo ha fatto accusandol­o di aver architetta­to una campagna di diffusione di false accuse di corruzione contro ministri dell’Akp e suo stesso figlio Bilal.

Allora molti osservator­i indipenden­ti pensarono che l’attuale capo di Stato turco avesse usato un problema che nulla aveva a che vedere con il predicator­e per liberarsi dell’unico turco in grado di resistergl­i e contrastar­lo. Gülen poteva farlo anche perché non viveva in Turchia, e quindi era più difficilme­nte attaccabil­e. Dal 1999 si era infatti trasferito nel mezzo della Pennsylvan­ia, a due ore da New York. E a costringer­lo a lasciare il Paese erano stati proprio militari “laicisti” che vedevano in lui il più pericoloso nemico del secolarism­o di Atatürk.

A partire dal nuovo millennio, era però cambiato tutto: i militari erano stati costretti a tornare nelle caserme e l’ascesa del partito islamico Akp era avanzata di pari passo con la scalata al potere mediatico, amministra­tivo ed economico di Hizmet. In particolar­e i seguaci di Gülen hanno guadagnato posizioni di potere nelle forze di polizia e nel sistema giudiziari­o. Un analista a cui il governo americano ha in passato chiesto un parere sul potere dei gülenisti in Turchia, ha dichiarato al nostro giornale che in quegli anni «Hizmet è riuscito a penetrare molte istituzion­i statali, in particolar­e la polizia e il ministero degli Interni».

Quel potere è risultato evidente quando due giornalist­i turchi che avevano scritto del movimento gülenista, Nedim Sener e Ahmet ık, sono stati arrestati da un procurator­e noto per aver lanciato accuse improbabil­i contro alti ufficiali delle Forze armate seguaci di Atatürk. Lo stesso è successo a Hanefi Avci, ex capo della polizia di una cittadina di provincia che aveva scritto un libro sull’infiltrazi­one gülenista nelle forze di polizia e del sistema giudiziari­o. Accusato di collaboraz­ione con il terrorismo, l’ex poliziotto che per tutta la vita profession­ale aveva combattuto corruzione ed estremismo politico è stato arrestato e messo in carcere.

Insomma, non c’è dubbio che Gülen sia stato un grande macchinato­re. Ma in due decenni di indubbia espansione nella vita pubblica ed economica turca, quello militare è rimasto l’unico settore in cui Hizmet non ha mai avuto presa. Per questo l’accusa di Erdogan pare infondata. Mentre avrebbe molto senso per il presidente di lanciarla per spingere gli Stati Uniti a estradarlo. Per poi sbatterlo in una galera da cui non potrebbe più macchinare nulla.

EX ALLEATI Erdogan sembra voler approfitta­re del fallito colpo di Stato per chiudere la partita con il rivale in esilio negli Stati Uniti

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REUTERS Un problema per gli Usa. L’ex predicator­e Fehtullah Gülen

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