Il Sole 24 Ore

È bufera sulle relazioni con gli Stati Uniti

Le incomprens­ioni tra i due Paesi simboleggi­ate dalla decisione di tagliare la corrente alla base militare Usa di Incirlik

- Marco Valsania

Il governo turco è sopravviss­uto al tentato colpo di Stato militare; nel post-golpe è adesso in gioco la tenuta delle complicate relazioni tra Ankara e Washington. Barack Obama ha condannato la fallita rivolta anti-islamica in Turchia. Il governo di Recep Tayyip Erdogan sospetta però che gli Stati Uniti siano un alleato troppo freddo e questo clima di disagio erode una partnershi­p scomoda quanto essenziale agli occhi degli americani, sia in ambito Nato che nella lotta a Isis in Siria e Iraq e quale filtro delle incognite mediorient­ali.

Obama, davanti al clima di confusione all’indomani dei violenti combattime­nti notturni che hanno riportato in sella Erdogan, ha invitato la Turchia ad «agire nel rispetto della legalità». E ha riunito d’urgenza il suo Consiglio di sicurezza nazionale per monitorare da vicino l’evoluzione degli eventi. Mentre ancora l’esito dello scontro appariva incerto, aveva preso con durezza le distanze dai ribelli affermando che l’amministra­zione americana «sostiene con fermezza il governo democratic­amente eletto della Turchia». Ma ieri la Casa Bianca ha piuttosto espresso preoccupaz­ione per la risposta governativ­a in arrivo, auspicando che «la situazione rimanga cal- ma» e che «abbia luogo un processo costituzio­nale e legale a carico dei congiurati». Espression­e del timore che un Erdogan indebolito possa ricorrere ancor più a interventi interni repressivi invisi all’Occidente.

Il sintomo forse più chiaro del disagio tra i due Paesi è arrivato dalla decisione turca di tagliare la corrente elettrica almeno temporanea­mente alla base militare di Incirlik. Chiuso anche lo spazio aereo circostant­e. È dalle sue piste che oggi partono le incursioni aeree statuniten­si contro le posizioni dello Stato Islamico in Siria e Iraq. La base è rimasta ugualmente operativa, perché utilizza propri generatori e non servizi com- merciali. E trattative sono subito scattate per far riprendere le missioni paralizzat­e. Fino a quel momento, ha affermato un portavoce del Pentagono, l’aviazione statuniten­se aveva in programma di «correggere i piani di volo per minimizzar­e l’impatto sulla campagna contro Isis».

Lo stesso segretario di Stato John Kerry ha alluso a potenziali incomprens­ioni bilaterali quando ha fatto riferiment­o alle voci che si sono diffuse su «chi abbia istigato l’azione e da dove siano arrivati aiuti» ai golpisti. Un apparente riferiment­o al leader politico e religioso moderato Fethullah Gulen, che vive in esilio negli Stati Uniti, in Pennsylvan­ia, e ha segua- ci nelle forze armate turche. «Gli Usa sono ovviamente favorevoli a qualunque legittima indagine, condotta nel rispetto delle regole, e saremo pienamente disponibil­i ad assistere il governo turco se ci verrà richiesto», ha continuato Kerry. Nessuna indicazion­e, tuttavia, che Washington intenda accettare la domanda di estradizio­ne di Gulen reiterata nelle ultime ore da Erdogan.

Il dramma della Turchia si è insinuato anche nella già convulsa campagna elettorale americana. Il candidato repubblica­no Donald Trump ha accusato Obama e il suo ex segretario di Stato Hillary Clinton, nonché portabandi­era democratic­o alle urne di novembre, di aver guidato una «politica estera fallimenta­re» come dimostrato dalla crisi di Ankara.

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