È bufera sulle relazioni con gli Stati Uniti
Le incomprensioni tra i due Paesi simboleggiate dalla decisione di tagliare la corrente alla base militare Usa di Incirlik
Il governo turco è sopravvissuto al tentato colpo di Stato militare; nel post-golpe è adesso in gioco la tenuta delle complicate relazioni tra Ankara e Washington. Barack Obama ha condannato la fallita rivolta anti-islamica in Turchia. Il governo di Recep Tayyip Erdogan sospetta però che gli Stati Uniti siano un alleato troppo freddo e questo clima di disagio erode una partnership scomoda quanto essenziale agli occhi degli americani, sia in ambito Nato che nella lotta a Isis in Siria e Iraq e quale filtro delle incognite mediorientali.
Obama, davanti al clima di confusione all’indomani dei violenti combattimenti notturni che hanno riportato in sella Erdogan, ha invitato la Turchia ad «agire nel rispetto della legalità». E ha riunito d’urgenza il suo Consiglio di sicurezza nazionale per monitorare da vicino l’evoluzione degli eventi. Mentre ancora l’esito dello scontro appariva incerto, aveva preso con durezza le distanze dai ribelli affermando che l’amministrazione americana «sostiene con fermezza il governo democraticamente eletto della Turchia». Ma ieri la Casa Bianca ha piuttosto espresso preoccupazione per la risposta governativa in arrivo, auspicando che «la situazione rimanga cal- ma» e che «abbia luogo un processo costituzionale e legale a carico dei congiurati». Espressione del timore che un Erdogan indebolito possa ricorrere ancor più a interventi interni repressivi invisi all’Occidente.
Il sintomo forse più chiaro del disagio tra i due Paesi è arrivato dalla decisione turca di tagliare la corrente elettrica almeno temporaneamente alla base militare di Incirlik. Chiuso anche lo spazio aereo circostante. È dalle sue piste che oggi partono le incursioni aeree statunitensi contro le posizioni dello Stato Islamico in Siria e Iraq. La base è rimasta ugualmente operativa, perché utilizza propri generatori e non servizi com- merciali. E trattative sono subito scattate per far riprendere le missioni paralizzate. Fino a quel momento, ha affermato un portavoce del Pentagono, l’aviazione statunitense aveva in programma di «correggere i piani di volo per minimizzare l’impatto sulla campagna contro Isis».
Lo stesso segretario di Stato John Kerry ha alluso a potenziali incomprensioni bilaterali quando ha fatto riferimento alle voci che si sono diffuse su «chi abbia istigato l’azione e da dove siano arrivati aiuti» ai golpisti. Un apparente riferimento al leader politico e religioso moderato Fethullah Gulen, che vive in esilio negli Stati Uniti, in Pennsylvania, e ha segua- ci nelle forze armate turche. «Gli Usa sono ovviamente favorevoli a qualunque legittima indagine, condotta nel rispetto delle regole, e saremo pienamente disponibili ad assistere il governo turco se ci verrà richiesto», ha continuato Kerry. Nessuna indicazione, tuttavia, che Washington intenda accettare la domanda di estradizione di Gulen reiterata nelle ultime ore da Erdogan.
Il dramma della Turchia si è insinuato anche nella già convulsa campagna elettorale americana. Il candidato repubblicano Donald Trump ha accusato Obama e il suo ex segretario di Stato Hillary Clinton, nonché portabandiera democratico alle urne di novembre, di aver guidato una «politica estera fallimentare» come dimostrato dalla crisi di Ankara.